Intervista alla danese Anne Cathrine Bomann, che ha debuttato col romanzo “L’ora di Agathe”: protagonisti uno psichiatra vicino alla pensione e una donna che gli sconvolge la vita. «Meglio rivolgersi agli altri e rischiare di farci male o perderli, che vivere in solitudine. Volere sempre di più ci aiuta a migliorarci, ma è frustrante realizzare che felicità e soddisfazione sono raramente uno stato mentale…»
Nel suo romanzo d’esordio, L’ora di Agathe (153 pagine, 15 euro), uscito per i tipi di Iperborea, la danese Anne Cathrine Bomann racconta la storia di un anziano psichiatra che, in una Parigi degli anni Quaranta, conta le ore che mancano alla pensione; tuttavia, un giorno, nella sua vita arriva Agathe e con lei lo sconvolgimento dei sentimenti. Nel romanzo di Bomann la tristezza e l’ansia di vivere emergeranno prepotentemente, allo stesso modo una vita preservata dal coinvolgimento degli altri verrà scardinata e saranno proprio gli altri la carta con cui salvarsi.
Bomann, quando Agathe appare nella vita dell’anziano psichiatra, ha conosciuto l’ospedale psichiatrico senza aver risolto i suoi traumi, i suoi disagi. Agathe può essere interpretata come una vittima sia di se stessa sia degli schemi sociali?
«Direi che ci sono molte ragioni per cui Agathe è sofferente. Prima di tutto, ha vissuto in una famiglia in cui ognuno pretendeva che ogni cosa andasse bene, anche se suo padre abusava di lei e sua madre ne era a conoscenza. Solo questo è una ragione sufficiente per reagire con sintomi di scarsa sanità mentale. È anche una casa dove è molto importante eccellere, essere bravi a suonare il pianoforte ad esempio, raggiungere sempre la perfezione, e questa condizione è dura per Agathe, perchè sente di non essere apprezzata per quella che realmente è, ma solo per i suoi risultati. E questa pressione dell’essere una brava ragazza, sopportare molto e così via probabilmente esiste anche al di fuori della famiglia, nella società, come suggerisci tu. Potrebbe anche essere che Agathe sia nata con una predisposizione genetica che la espone a possibili sviluppi depressivi o disordini bipolari ed è per questo che reagisce in questo modo ai suoi malesseri. Tuttavia per me, la sua crisi è prima di tutto e soprattutto una crisi esistenziale causata dalla ricerca di se stessa, dell’amore per se stessa, quello che i suoi genitori non le hanno mai dato».
Agathe si impone come nuova paziente dell’anziano psichiatra, è in grado di creare uno squarcio nella sua vita e distruggere le sue certezze: il lavoro, la presenza della sua segretaria, la relazione con i suoi pazienti. Si è creata una grande distanza fra questi ultimi e il dottore rappresentata dai disegni di uccelli che continua a disegnare nel corso delle sedute invece di prendere appunti. Secondo lei perché l’essere umano è continuamente insoddisfatto, irrequieto, inquieto, infelice nei confronti della vita?
«Non so se l’essere umano sia insoddisfatto e infelice come regola generale – penso che ricerchiamo il senso, la soddisfazione e spesso oscilliamo fra l’aver trovato una sorta di equilibrio e l’averlo perso di nuovo. Se guardiamo con gli occhi dell’evoluzione probabilmente è una capacità preziosa che abbiamo perchè spesso ci sforziamo di fare qualcosa di più ed è difficile essere soddisfatti di qualcosa per lungo tempo. Questo è uno degli aspetti, che volevo suggerire, che ci aiuta a svilupparci come razza e che ci permette di andare lontano così tanto come abbiamo fatto scoprendo l’universo, creando nuove tecnologie e così via. Ma naturalmente è anche frustrante non essere in grado di trovare pace e mantenerla! Questo è uno degli svantaggi del grande sviluppo del cervello e della coscienza che ne consegue».
Quando Madame Saussure, la segretaria, lascia il lavoro, lo psichiatra realizza di non conoscere niente di lei. Il periodo in cui viviamo, caratterizzato da una preponderanza dell’individualismo, in cui l’online è meglio dell’offline, può aver contribuito a mettere in crisi le nostre capacità di ascolto?
«Si tratta di una nuova condizione: non abbiamo ancora visto gli effetti nel lungo periodo del passare così tanto tempo sui social media. Come influenzerà i vostri figli che crescono con ipad, computer, smartphone, che vivono con questi oggetti dalla culla alla tomba? Una delle conseguenze che è stata rilevata come possibile effetto collaterale è la diminuzione della capacità di attenzione. Questo è: ci possiamo concentrare per brevi periodi di tempo, trattenere meno informazioni in mente e così via. Forse in questo modo diventiamo dei cattivi ascoltatori anche nelle nostre relazioni più strette. Le cose si muovono sempre più velocemente, così sembra, e se qualcuno o qualcosa ci annoia, ci abituiamo ad andare velocemente avanti o a cambiare canale e spesso cerchiamo di fare più cose insieme come ascoltare un amico e scrivere un sms contemporaneamente. Tuttavia il nostro cervello, ad oggi, non è un buon multitasking. Ho letto uno studio che ha dimostrato che il solo fatto di avere uno smartphone vicino ad una persona, questa ha svolto in modo peggiore dei test su diverse materie anche se non lo stava nemmeno toccando, ma lo smartphone assorbiva una parte del cervello, attenzione ed energia con la sua sola esistenza. Penso che questo sia abbastanza spaventoso».
Il suo romanzo inizia con un conto alla rovescia che lo psichiatra fa dei giorni che mancano alla sua pensione, attende questo momento con ansia. Tuttavia dopo molte pagine una certa ansia lo coglie alla fine della giornata, quando le sedute con i pazienti sono terminate, quando la figura di Agathe se ne va un’altra volta. La sua ansia diventa un’ansia verso la fine. In un libro, una volta, ho letto questa frase: «L’essere umano è sempre in perdita», dal suo punto di vista di psicologa, potrebbe essere d’accordo con questa frase?
«Per me il dottore è ansioso sin dall’inizio, è piuttosto un’ansia esistenziale, e l’ansia cresce sempre di più quando si avvicina la sua pensione e quando è più coinvolto da Agathe. In un certo senso, per lui è stato più facile vivere una vita tranquilla senza il problema di avere qualcuno vicino e allo stesso modo, quando inizia a sentire qualcosa per Agathe – e anche per Madame Saussure – la paura di farsi male o di essere rifiutati cresce dentro di lui. Tuttavia questo è il rischio che corriamo come esseri umani, se ci rivolgiamo verso gli altri, se ci sposiamo, facciamo figli, iniziamo un’amicizia, rischiamo di farci male e rischiamo di perderli ancora. Ma fortunatamente verso la fine, il dottore realizza che questo è di gran lunga preferibile che vivere una vita in totale solitudine. E si, come ho detto all’inizio, forse una delle caratteristiche dell’essere umano è di volere sempre di più. Qualcosa di nuovo, di diverso, di più. E questo è in parte una buona cosa che ci aiuta a progredire e raggiungere il nostro pieno potenziale, ma può anche essere frustrante realizzare che la felicità e la soddisfazione sono raramente uno stato mentale».
Lo psichiatra deve in qualche modo entrare in contatto con la sua tristezza, la sua infelicità, senza “aver mai conosciuto la morte”. Agathe può rappresentare la sua occasione di riscatto, Agathe sembra volergli far capire che “la vita è là fuori”. Quanto le relazioni umane possono essere la nostra occasione di riscatto?
«È divertente, perchè non avevo formulato questo pensiero prima di scrivere L’ora di Agathe. Non sapevo cosa avrei voluto che accadesse nel libro o come il libro sarebbe finito, ma ora, quando lo leggo, questo è uno dei messaggi più forti: possiamo dare significato alla nostra vita grazie al rapporto con gli altri. E nel mio nuovo libro che uscirà in Danimarca, riesco a vedere lo stesso messaggio emergere chiaramente. Per me le relazioni con gli altri sono una delle cose più difficili del mondo, ma sono anche le cose che possono salvarci, darci amore, gioia e dare significato alla nostra esistenza se riusciamo a farle funzionare».