“O sol na cabeça” di Geovani Martins è un libro che ha avuto parecchio clamore in Brasile e che attendiamo di leggere anche in Italia. Questo è il nuovo appuntamento con Lusoteca, una raccolta di racconti sulle periferie degradate, ma senza intenti didattici o di denuncia
Finalmente ho iniziato il libro di Geovani Martins O sol na cabeça, il libro che il mercato editoriale brasiliano indica come il «nuovo fenomeno letterario brasiliano». Questo è uno dei libri che ho comprato nel mio ultimo viaggio in Brasile e che volevo assolutamente portarmi a casa perché la campagna marketing che ha preceduto questo libro è stata davvero senza precedenti. Pensate che i diritti per la traduzione sono stati venduti in nove paesi prima ancora che l’opera fosse lanciata in Brasile! Osannato da grandi maestri come Chico Buarque e Milton Hatoum, la casa editrice Companhia Das Letras ha prodotto una prima tiratura di 10 mila esemplari. Certamente il marketing ha svolto un ruolo ineccepibile nel promuovere l’uscita del libro, ma ci sono altri due aspetti molto importanti che hanno contribuito a risaltare l’eccezionalità dell’opera.
Il ragazzo delle favelas
Il primo e forse quello più eclatante: la letteratura brasiliana contemporanea non è certo avvezza ad accogliere tra i suoi stimati rappresentanti profili autoriali come quello di Geovani Martins, un ragazzo di 28 anni cresciuto nelle favelas di Rochina e Vidigal a Rio de Janeiro, e nel tempo si è mantenuta, purtroppo, un ambiente abbastanza elitario. Il Brasile, bisogna ricordarlo, è un paese dove il talento letterario di una scrittrice come Conceiçao Evaristo, autrice nera e originaria di una famiglia molto povera, oggi dottoressa in letteratura comparata, ha ottenuto un meritatissimo riconoscimento a quasi vent’anni dalla sua prima pubblicazione.
Il secondo, la pietra miliare di questa breve raccolta di racconti: l’utilizzo di un linguaggio orale che riproduce fedelmente il dinamismo di una conversazione di strada mediante modi di dire, costruzioni sintattiche e “licenze grammaticali” che riportano errori di concordanza sia nei verbi che nelle parole.
Il linguaggio orale e la realtà
La favela non è solo il luogo di provenienza dell’autore ma è anche l’ambiente che plasma i 13 racconti che compongono il volume e la descrivono in un modo assolutamente peculiare e innovatore: è infatti l’uso del linguaggio orale ad introdurci nel quotidiano dei suoi abitanti, e questo senza nessun fine didattico o di denuncia. Come ha ripetuto l’autore in diverse interviste, le favelas sono davanti agli occhi di tutto il mondo e proprio per questo un atto di denuncia apparirebbe inappropriato e fuori luogo: la favela è una realtà di fatto e molto comune in Brasile, e spesso si trova in prossimità di quartieri di classi medio-alte, a testimonianza delle crudeli contraddizioni e delle disuguaglianze che contraddistinguono il paese.
Periferia e nuovo realismo
«É tudo muito próximo e muito distante» (pag. 18) dice il narratore di uno dei racconti che mi ha colpito di più, Espiral: «è tutto molto vicino e molto distante» perché la favela ha una voce silenziata e in letteratura sono ancora troppo sporadici gli interventi che hanno saputo far discutere della sua realtà.
È solo negli ultimi dieci anni che il dibattito letterario inizia a parlare sempre di più di una letteratura cosiddetta di periferia e di un nuovo realismo brasiliano che al canone del realismo classico preferisce utilizzare altri strumenti per suscitare la provocazione tipica del reale: il linguaggio e l’azione del micro mondo vissuto in primo luogo dall’autore (per un approfondimento della corrente realista nella letteratura brasiliana contemporanea per me è stata illuminante la lettura di due saggi: Realismo: modos de usar di Tânia Pellegrini, Ficção brasileira contemporânea di Karl Erik Schøllhammer). Penso ai libri di Conceiçao Evaristo, di João Antonio e di Ferréz. Sono contributi fondamentali per la letteratura brasiliana contemporanea e voci come le loro dovrebbe essere più numerose.
Una relazione autentica tra individuo e società
Il realismo brasiliano contemporaneo che ammiro moltissimo si manifesta proprio nella volontà di fotografare una relazione autentica tra l’individuo e la società, una relazione che è ben presente nei racconti di questo giovane esordiente. È una relazione che testimonia una società che soggiace al caos urbanistico, alla disuguaglianza, alla violenza e alla corruzione della polizia. Il rapporto dell’individuo con la realtà è tale per cui sembra «que estávamos sempre repetindo os dias» (pag. 74) e forse è meglio «sair andando, seguir meu caminho. Sozinho» (pag. 78).
Nel racconto Estaçao Padre Miguel il narratore si chiede se sarà vero che nasciamo da soli e moriamo da soli, senza mai permettere a nessuno di abitare la nostra intimità. E ancora:
«Oggi mi rendo conto che nessuno ci guarda per la strada. Il nostro dolore, il nostro vizio, le nostre figuracce, è tutto molto distante dagli altri».
L’avvio shock
Rolézim, il racconto di apertura, è il testo che presenta la scelta linguistica più radicale e aver utilizzato questo racconto per introdurre la raccolta è davvero d’impatto e molto astuto perché suscita fin da subito lo shock che si prova davanti alla diversità. Questo è l’unico testo a presentare un linguaggio orale predominante, mentre nei successivi racconti l’oralità si alterna a un registro più formale di un narratore in prima e in terza persona. Sono racconti che danno voce a persone emarginate che vivono nelle favelas di Rio de Janeiro, tra cui figurano anche trafficanti di droga e soldati impiegati nell’esercito illegale del traffico.
La polvere di altre epoche
ll racconto che mi è piaciuto di più è il secondo della raccolta, Espiral (spirale), in cui un ragazzo è sorpreso e allo stesso tempo intimorito nel rendersi conto che le persone che incontra hanno paura di lui, si alzano quando si avvicina a una panchina o si tengono strette le borse; eppure il protagonista non compie nessun gesto intimidatorio. Che sia il colore della pelle, i suoi vestiti, la sua origine? Che sia la «polvere di altre epoche», si domanda il protagonista/narratore, suggerendo che l’origine di questo timore possa essere un’eredità acquista dal passato e con cui dubbiamo ancora fare i conti. Sono ragazzi, ancora bambini, che vogliono essere uomini e cercano di scampare ai prevaricatori, ai bulli di scuola, sono giovani uomini che cercano momenti di svago in un ambiente violento e apatico, e che cadono in circoli senza via di uscita per sentire che «a vida podia ser boa, que ela não precisava ser essa loucura que ensinam pare gente desde pequeno» («la vita poteva essere bella, che non doveva essere questo folle tran tran che ci insegnano fin da quando siamo piccoli»).
Finale inaspettato
Passata l’ondata di novità molti si chiedono se i racconti avrebbero goduto del medesimo successo se l’autore non fosse nato e vissuto in una favela e se questa provenienza non fosse stata così a lungo rimarcata. Purtroppo come spesso accade con l’utilizzo massivo del marketing, ci si dimentica di chi e di che cosa c’è dietro al fenomeno che si deve far vendere a tutti i costi. Credo che la qualità letteraria di questi racconti sia fortissima e innegabile: Geovani Martins è un narratore capace che coinvolge fino all’ultima pagina di queste storie coinvolgenti dal finale aperto, inaspettato, i cui personaggi sono davvero ben delineati nelle loro personalità e nel loro vissuto soggettivo.
Adesso mi piace sperare che l’Italia sia il prossimo a tradurre questo libro che ha già fatto la storia nell’editoria brasiliana. Chiudo prendendo in prestito le parole usate da Geovani Martins in un intervista: «e dicevano che i racconti non vendevano!!».
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