“Nero Ananas” di Valerio Aiolli, con una precisa e letteraria scrittura, esplora una delle pagine più oscure della storia d’Italia, scandagliando quella verità che sia la politica che la giustizia non hanno saputo o voluto in tutti questi anni individuare. Tra le stragi di piazza Fontana e della questura di Milano
Il romanzo di Valerio Aiolli, pubblicato da Voland, il cui titolo Nero Ananas (346 pagine, 17 euro) è già più di un indizio, è collocato nello stesso arco temporale – 1969-1973 – che ha corrisposto all’esistenza legalmente riconosciuta di Ordine Nuovo, prima che questo movimento della destra extraparlamentare diventasse clandestino a seguito del processo che accusava i suoi esponenti del reato di ricostruzione del partito fascista. La scelta dell’autore del periodo, visti i temi trattati, non può certamente essere considerata casuale visti gli esiti processuali, pur sempre parziali, che sono emersi dalle indagini sui responsabili, da ricercare negli ordinovisti (ma non solo), nel periodo del cosiddetto “stragismo nero” e della “strategia della tensione” e che hanno portato alla sbarra, solo in alcuni casi, i protagonisti di quella tragica stagione della Repubblica.
Un romanzo che si assimila come un saggio
Specularmente il romanzo si apre e si chiude con un botto. Il risultato totale delle due esplosioni sono 21 morti (17 nella strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 e 4 nella strage alla Questura di Milano del 17 maggio 1973, oltre ai 140 feriti totali, 88 nella prima strage 52 nella seconda). Cercando di mettere da parte per un momento questa triste contabilità di vite umane che ancora chiedono verità e giustizia, non dobbiamo dimenticarci che si tratta di un romanzo, un’opera di fiction, eppure il libro di Aiolli si legge come un romanzo e lo si assimila come un saggio storico su una delle pagine più controverse e tuttora oscure della nostra storia più recente, pagine che senza la dovuta chiarezza, fuor di retorica purtroppo non ci potranno permettere di liberarci dei semi infestanti che la hanno alimentato il clima avvelenato di quelli e dei successivi anni del nostro vivere civile. La più illuminante sintesi in tal senso al romanzo di Aiolli non può che essere quanto riportato nella quarta di copertina che così recita: «la notte è così buia fuori della luce dei fari». È in questa notte buia che interviene la letteratura e che quei fari possono in parte fare luce, di qualsiasi notte si tratti e della quale la letteratura decida di occuparsi, siano sentimenti, scienza, storia e politica tout court. Questo romanzo dimostra che anche la narrativa, la fiction e non solo la saggistica può servire allo scopo. Esempi del genere del resto nella nostra letteratura più o meno recente non mancano. Due nomi su tutti. Pier Paolo Pasolini e Leonardo Sciascia.
Pubblico e privato sovrapposti
Personalmente avevo in mente da tempo di approfondire la conoscenza degli anni 70, non nello specifico il periodo del quale si occupa il Nero ananas, ma più estesamente i cosiddetti anni di piombo, poi ho scoperto che era da poco uscito questo romanzo, fra l’altro inserito nella dozzina dello Strega, di questo ottimo scrittore toscano, Aiolli, già a me noto per altre opere nelle quali già emergeva la sua attenzione allo sfondo storico e sociale, con il particolare e attento sguardo alla cornice dell’Italia che cambia dei nostri anni più e meno recenti e ai gangli del sistema politico, sovrapponendo le vicende pubbliche e private dei protagonisti a quelle della storia più o meno nota e divulgata.
Il clima avvelenato
Il nero di cui al titolo è simbolicamente “La notte della repubblica”, quella stessa notte dalla quale prende spunto il titolo della famosa trasmissione televisiva di Sergio Zavoli che si occupa dello stesso periodo storico del romanzo di Aiolli, il clima avvelenato di quegli anni, fra assalti al cielo, ribellismi di vari colori, il gioco di pesi e contrappesi messo in modo puntualmente in luce sul fatto che i due estremismi si sono auto-alimentati a vicenda in modo reattivo, l’anticlericalismo di fondo dell’estremismo come reazione a decenni di stantio bigottismo e chiusura culturale, parti delle istituzioni democratiche coinvolte a vario titolo e complici nei fatti di sangue che hanno segnato quei tragici anni.
Personaggi dell’eversione nera
L’esplosione della bomba del 12 dicembre 1969 alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, con lo speculato topos della cosiddetta “perdita dell’innocenza” della società italiana dopo il boom economico degli anni 60, apre il libro e mette in scena i vari personaggi che dietro la mimesi di pseudonimi che ne mascherano la vera identità non riescono comunque a nascondere i veri e innumerevoli protagonisti reali delle vicende dell’eversione nera, rendendo quelli stessi personaggi, indagati dalla penna dell’autore fino al loro privato, se non veri, verosimili, una delle magie della letteratura: Il barba, Falstaff, il Samurai, Zio Otto, The Captain, Vincent e su tutti l’anarchico cooptato dal gruppo di destra, l’esecutore materiale della strage alla questura di Milano con la quale si chiude il libro. Questi, al secolo Gianfranco Bertoli, è il più riconoscibile all’intermo del romanzo ed è quasi paradossalmente l’unico al quale non viene affibbiato nessun nomignolo, salvo occupare lo stesso ampio spazio, prendendosi interi capitoli che narrano le sue esperienze giovanili da balordo di provincia in quel Veneto che è stato ricettacolo dell’orda nera degli anni 70, per poi passare alla reclusione da delinquente comune, fino al suo arruolamento per opera degli estremisti, compreso l’addestramento in un kibbutz israeliano, fino al compimento del suo “grande gesto”.
Canti e controcanti
La realtà storica dei fatti avvenuti si interseca alla finzione delle vite private dei personaggi facendo assumere al romanzo quella sua ibrida connotazione che ne è il tratto rilevante e che costituisce anche una delle più consolidate tendenze della narrativa italiana contemporanea. I capitoli seguono i vari punti di vista dei numerosi personaggi che abitano il romanzo. Si passa da quelli che affrontano con la modalità di una sorta monologo interiore la parte “istituzionale” della vita politica italiana, su tutti spicca la figura de “Il Pio” nella quale è facilmente riconoscibile Mariano Rumor, il leader democristiano nonché presidente del Consiglio all’epoca della strage di Piazza Fontana, a quelli dove a parlare, mimetizzati negli pseudonimi, sono i vari esponenti del mondo dell’eversione nera. Il tipo di linguaggio cambia e si alterna di conseguenza, come anche il punto di vista narrativo, quasi uncanto e controcanto. Con la terza persona viene tratteggiato “Il Pio” e vengono svelati retroscena, trame di partito all’interno della Democrazia Cristiana (mai nominata dall’autore), compresa la fase cruciale del suo consolidamento a cavallo degli anni 50-60, con il passaggio di potere e conseguenti riposizionamenti strategici al suo interno fra “Il vecchio” (De Gasperi) e “Il Pio” stesso. Altri personaggi e protagonisti delle scena politica italiana del secondo dopoguerra emergono in filigrana sotto pseudonimi più o meno riconoscibili: Il Nano; Freccia bianca, quasi a dire che la storia e la verità è sempre in qualche modo camuffata.
La voce della tv
Si passa alla seconda per parlare dell’anarchico della bomba alla questura, per spostarsi invece alla prima persona nel racconto del bambino della famiglia medio borghese, la cui voce e prospettiva assume un po’ quella di osservatore universale delle vicende e vera voce narrante dell’intero romanzo. La famiglia del bambino, anch’egli mai nominato, come la sorella contestataria e ribelle, è attraversata dagli eventi, con quest’ultima che sparisce da casa proprio all’indomani della bomba alla Banca dell’Agricoltura e con i due che sembrano inseguirsi senza mai trovarsi lungo tutto il corso del romanzo, mentre la voce della televisione che sta iniziando in quegli anni a prendere il sopravvento mutando coscienze e costume degli italiani, sembra accompagnare il loro cammino. Si scoprirà solo nel finale il percorso svolto dalla sorella e le implicazioni della sua sparizione.
Un gioco più grande
Un capitolo si lega all’altro, una storia all’altra, con uno stile molto cinematografico che sicuramente rende il romanzo di Aiolli molto appetibile per la resa in un film. Le vicende private si legano a disegni più ampi, come se i protagonisti fossero parte di un gioco più grande di loro, oltre a rendere il romanzo una preziosa e puntuale documentazione intertestuale su fatti, eventi e personaggi più o meno noti o dimenticati della nostra storia recente, dai moti di Reggio, all’omicidio Calabresi, dalla vicenda della morte di Giangiacomo Feltrinelli, a quella dei cosmonauti russi fino, fino all’attentato degli estremisti islamici all’aeroporto di Monaco durante le Olimpiadi del 1972.
Un noir storico
La sovrapposizione dei piani pubblico-privato ha anche esiti esilaranti come nell’interpolazione del racconto dell’elezione del presidente della Repubblica Giovanni Leone vista in tv dal bambino alla vigilia di Natale del 1971, con in sottofondo le imprecazioni e la lite dei genitori per un presunto tradimento del padre. Nel finale gli eventi si condensano, sale la tensione, c’è il sentore di un qualche grave accadimento, i destini incrociati dei personaggi convergono, i tempi si accorciano, sembra farsi sentire incombente la presenza costante della bomba, la stessa del titolo, pronta a esplodere. Anche la verità può essere una bomba e sicuramente il romanzo di Aiolli è un bellissimo espediente sotto forma di romanzo, un noir storico lo potremmo definire perché oggi vanno di moda i noir in letteratura e la storia italiana di misteri ne contiene ancora molti. Con una precisa e letteraria scrittura Nero ananas esplora una delle pagine più oscure della storia d’Italia, scandagliando quella verità che sia la politica che la giustizia non hanno saputo o voluto in tutti questi anni individuare fino a fondo, a partire dalla Strage di Piazza Fontana, della quale quest’anno ricorre il cinquantenario, con tutti i suoi lati ancora oscuri e della quale ancora non si conoscono i nomi dei mandanti, così come su molte altre stragi e su altri morti innocenti in questo nostro paese che se si vuole veramente pacificato, dovrebbe iniziare proprio a fare i conti con la ricostruzione esatta della verità storica dei fatti, per le vittime e i loro familiari prima di tutto, chissà se la letteratura a tanto può arrivare. Come il filologo è il lettore, interprete, decodificatore della verità letteraria di un testo, in questo caso, in un romanzo come questo, il romanziere forse può assumere un ruolo vicario a quello del politico, del saggio, del giusto, pur sempre consapevoli che, per dirla con le parole stesse del “Pio” alla fine di uno dei capitoli centrali del libro: «È illusione pensare che la verità sia da scoprire come l’incognita di un’equazione o come una statua nascosta sotto un velo. La verità che pure esiste, emergerà, se e quando emergerà come un reperto rinvenuto nel fango: sporco, rotto, mancante di certe parti. Occorrerà l’immaginazione dell’artista oltre che la cura e l’attenzione dell’archeologo, per poter ricostruire la verità di questo periodo buio». Nero ananas di Valerio Aiolli è un importante reperto.
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