“I leoni di Sicilia” di Stefania Auci, primo volume di una saga che si concluderà con il secondo, sta conquistando lettori e addetti ai lavori. Non un semplice romanzo storico, ma un settantennio di vicende letto, studiato e… mantenuto vivo. Non un’operazione facile, tra fatti storici e romanzesco, per la complessità del periodo e della famiglia protagonista
Una saga familiare, che piace al grande pubblico e anche agli addetti ai lavori. Così, di primo acchito – e, mi rendo conto, nel modo più banale – vado, spero a beneficio dei nostri sempre più numerosi lettori, a buttar giù qualche appunto su questo libro.
Cronaca di un successo annunciato
Uscito solo una settimana fa, I leoni di Sicilia (436 pagine, 18 euro), di Stefania Auci (nella foto di Cristina Dogliani), pubblicato dalle edizioni Nord, è stato preceduto dalla vendita dei diritti in cinque Paesi e dagli interventi più che lusinghieri di chi i libri li consulta e li legge per mestiere. C’è chi parla, addirittura, anche di una probabile trasposizione televisiva.
Tutto come da copione, perché nel bene e nel male il romanzo storico rimane pur sempre una certezza, commenterebbe qualcuno per liquidare l’argomento. Siete d’accordo? Io francamente no, perché in un Paese dove nessuno (o quasi) legge, niente può darsi per scontato e – ammesso che lo sia davvero – anche il genere più in voga può riservare ripensamenti e persino delusioni.
Sono allora più portato a ritenere che i lettori – i quali, è ovvio, riescono a vedere più in là di chi fa commenti – abbiano voluto scorgere in questo lavoro quel qualcosa in più, che cattura l’attenzione, prima, e l’interesse, dopo. Non a caso lo hanno portato senza esitazioni e in un fiat, verso quello che un colto e raffinato musicista come Lelio Luttazzi chiamava l’Olimpo della hit parade (parliamo dei primi tre posti, mica quisquilie). Ed è proprio lì che adesso si trova, ovviamente in ottima compagnia, mentre in molti si staranno interrogando – anche con benevola curiosità, si badi bene – sui motivi di tanto, repentino, successo di un’autrice praticamente sconosciuta ai più.
Studio e scrittura
Una delle chiavi di lettura del consenso riservato a I leoni di Sicilia potrebbe essere data dalla evidente caparbietà – che oltre a trasparire in ogni pagina del libro viene alla fine confessata dalla diretta interessata – con la quale l’autrice ha portato a termine un doppio, parallelo, percorso di studio e scrittura. Grazie al quale, aggiungo, la Auci, trapanese di nascita e palermitana di adozione, ha messo mano agli strumenti migliori per dare voce e mantenere vivo (dunque, mai sbiadito), tutto quello che ha trovato, letto, compulsato.
Una scrittura mai ostica e un lettore partecipe
Così, dopo avere messo in sicurezza la struttura complessiva del racconto, con brevi, ma quanto mai opportuni rimandi ai tanti avvenimenti che segnarono in modo indelebile quel settantennio che va dal 1799 al 1868, Auci si è affidata a una scrittura fluida e misurata (e, per dirla tutta, assai piacevole), credo nell’intento di dar modo al lettore, non solo di apprendere, ma persino di partecipare, quasi in prima persona, ai fatti raccontati in questa prima puntata della saga. La descrizione essenziale, reale, talvolta anche cruda di uomini (e donne, tutte eccezionali), dei loro caratteri e delle malcelate passioni, così come di luoghi, lavori e condizioni sociali crea, nel e grazie al racconto, quella sorta di familiarità, grazie alla quale il lettore riesce in alcuni momenti a provare, persino la sensazione di potere intervenire con un commento, una frase e persino un’imprecazione. Un lettore, partecipe, dunque, invogliato da una scrittura mai ostica, che non alza, dunque, steccati, né richiede particolari e complicate analisi.
Un salvifico equilibrio, per niente facile
Detto così, sembra, oltre che utile, anche tutto molto facile e persino naturale. E forse lo sarebbe stato, se non parlassimo di uno dei periodi storici più complicati di sempre; di iniziative economiche mai fatte prima e di lavorazioni a dir poco rivoluzionarie; ed ancora, di vicende familiari e personali così difficili da dipanare, perché tanti furono gli amori e altrettanti i tradimenti, i segreti e le vendette. Se, per essere brevi, non si fosse trattato dei Florio e della Sicilia, che di suo, poi, è sempre complicata assai.
Tutto materiale da far pulsare le tempie anche all’autore più esperto – stretto tra la ferrea volontà di non tradire i fatti e il desiderio, altrettanto forte, di scrivere un romanzo – ma che, per fortuna, non ha impedito a Stefania Auci di trovare con questo suo libro (il primo di una dilogia) un salvifico e, a quanto pare, ben gradito equilibrio.
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