Intervista al biografo dello scrittore di Racalmuto, che al Salone del Libro presenta la nuova edizione del suo volume più noto, “Il maestro di Regalpetra”: “Non vedo grandi scrittori in giro e mancano guide come lui, un amico che ha segnato la mia vita. Il ruolo dell’intellettuale è mutato e in Italia non c’è dibattito culturale”
Lui è il destinatario della dedica di Kermesse di Leonardo Sciascia, libro del 1982, pubblicato per Sellerio; è il biografo per eccellenza di Sciascia, ma soprattutto un amico dello scrittore che trent’anni fa concluse il suo soggiorno sulla Terra. Lui è Matteo Collura, agrigentino, firma del Corriere della Sera e del Messaggero, protagonista al Salone internazionale del libro di Torino, con la nuova edizione del suo libro più famoso, Il maestro di Regalpetra. Vita e opere di Leonardo Sciascia (413 pagine, 18 euro). Dopo un ventennio di ristampe con l’editore Longanesi, che non gli ha chiesto di rinnovare ulteriormente il contratto, Matteo Collura s’è sentito libero di affidarlo a chi glielo chiedeva da tanto tempo, ovvero Elisabetta Sgarbi e Mario Andreose, a lungo anime della Bompiani, che pubblicò i primi volumi delle opere complete di Sciascia, e da qualche anno ormai motori propulsori de La Nave di Teseo. «Erano amici di Leonardo – ricorda Collura – e sono felici di legarne in qualche modo il nome alla loro nuova casa editrice. E poi l’ultimo libro di Sciascia, A futura memoria, nacque anche da una loro idea, furono loro materialmente a mettere insieme quegli scritti».
Collura, nella nuova edizione ha rivisto piccole cose, ma ha aggiunto una nota a trent’anni dalla morte di Sciascia (e a ventitré dalla prima uscita del volume). I lettori come ritroveranno il suo libro più famoso e premiato?
«Credo che sia un omaggio adeguato a Leonardo Sciascia, per di più come oggetto in sé non si poteva fare meglio, la stampa è bellissima, è rilegato in maniera sontuosa, ha un prezzo contenuto e contiene molte più foto rispetto alla prima edizione. Negli ultimi trent’anni la Sicilia, l’Italia e il mondo sono molto cambiati, ma credo che questo ritratto di Sciascia dimostri ancora che i suoi libri, quelli di un classico, possano essere più attuali che mai, come tutti i classici. Le metafore di Sciascia restano valide, come l’idea di ragionare sempre con la propria testa e di affrontare temi come il potere, la libertà e la democrazia. Oggi più che mai, in una società in cui il disimpegno è totale e la conquista del denaro sembra essere l’unica cosa che interessa, l’esempio di Sciascia ci dice che sono altre le direzioni da seguire».
Quel moralista di Sciascia…
«Riteneva che, se si è liberi dal bisogno, bisogna resistere alle lusinghe del guadagno, che rischia di portare a episodi di corruzione. Il denaro facile più che cambiare il mondo ha distrutto ogni principio etico. Lui era uno scrittore moralista, termine oggi considerato solo nella sua accezione negativa, e riteneva che solo gli imbecilli possono pensare che il moralismo sia in contraddizione con l’intelligenza e con il talento. Lui era un moralista alla maniera dei grandi francesi Voltaire, Diderot, Zola e Gide. In Italia il suo vero maestro era Alessandro Manzoni. Come Manzoni volle mettere La storia della colonna infame a conclusione de I promessi sposi, lui volle che la sua relazione di minoranza delle indagini parlamentari su Moro finisse in appendice a L’affaire Moro».
All’estero, in Francia ad esempio, Sciascia è più amato e rispettato che in Italia?
«Di sicuro in Francia era ed è amato. Mi è capitato di andare con lui a Parigi, tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Lui veniva riconosciuto per strada, anche da molti studenti. Sorrideva, salutava, ringraziava, timidamente. Lo stesso accadeva alla casa editrice Grasset, per cui pubblicò “L’affaire Moro”, era un punto di riferimento per tutti, dirigenti, funzionari, impiegati. In Italia ha goduto e gode di grande fama, nel bene e nel male, Sciascia è una coperta che ognuno tira dalla sua parte. Parafrasando il titolo di un suo libro, di certo per lui la memoria ha un futuro».
Come ritiene sia stata gestita, dopo la sua morte, l’eredità letteraria di Sciascia?
«Dal punto di vista editoriale con sostanziale automatismo, Adelphi pubblica i suoi libri, come desiderò lui. Lo stile della famiglia è quello di non intervenire mai, ha scelto sempre la riservatezza, magari anche di fronte ad attacchi ingiusti. Figlie e nipoti sono per la discrezione, lui era più portato per la polemica, molto francese anche in questo».
Quanto manca Sciascia o un intellettuale come lui al dibattito culturale italiano?
«Non c’è più un dibattito culturale. È un po’ come in Francia dopo la morte di Marguerite Yourcenar. Al tempo di Sciascia c’erano Moravia, Calvino, Manganelli, Pasolini. Oggi sta nascendo qualcosa di nuovo, ci siamo dentro e non riusciamo a dargli forma o nome. Il ruolo degli scrittori è meno importante, ognuno può dire la sua nella grande rete e da un certo punto di vista è anche meglio. Però mancano le guide, i maestri, come era lui. Non vedo grandi scrittori in giro. Non riesco a immaginarmi né Sciascia né un suo alter ego al giorno d’oggi, al tempo degli smartphone. Sciascia poco prima di morire rifiutò cinque miliardi di lire da Mondadori per pubblicare la sua opera omnia. Oggi dove sarebbe un suo equivalente, che arriva a tanto pur di restare libero?».
Il Salone ha fatto notizia per le polemiche della casa editrice vicina a Casa Pound. Sciascia probabilmente non sarebbe stato fra chi ha evitato di partecipare alla manifestazione…
«È stata fatta pubblicità gratuita a una sigla di cui pochissimi si sarebbero accorti. Se siamo legati alla razionalità e alla libertà proibire è sbagliato. Immagino che Sciascia, come Voltaire, si sarebbe fatto uccidere affinché anche il suo peggiore avversario avesse la possibilità di esprimersi».
A livello personale cosa le manca di Sciascia?
«Con lui avevo un rapporto filiale, ha segnato la mia vita, non sarei il giornalista e lo scrittore che sono se non l’avessi conosciuto. Avevo un rapporto bello, franco. A Milano veniva a casa mia, a Roma, quando era deputato, l’andavo spesso a trovare. Mi ha anche nominato nel testamento, lasciandomi dei preziosi volumi di viaggiatori in Sicilia. Spesso era con lui quando faceva questi acquisti da bibliofilo, a Parigi o a Lugano». (Questo articolo è stato pubblicato in forma ridotta sul Giornale di Sicilia)
Grazie per la pubblicazione di questa interessante intervista, dove, anche se sinteticamente, c’è il ‘vero’ Sciascia.