Opera prima di un sacerdote catanese, Nuccio Puglisi, “Centootto volte più grande del sole” intreccia le vite di una studentessa prossima alla maturità, che fa i conti con una malattia terribile, e un prete impotente dinanzi a tanto dolore. È l’inizio di una battaglia e di un viaggio interiore: un romanzo dalle molteplici sfumature emotive che invita tutti a interrogarsi
Che cosa si chiede ad un libro? Che emozioni, che faccia evadere, che ci allontani dalle brutture della quotidianità, o che al contrario ci immerga in esse, che spinga a riflettere. Qualunque sia la motivazione che ci porta ad aprire un libro, può andar bene per leggere il romanzo di Nuccio Puglisi, prete catanese cimentatosi in questa sua opera prima. Sì perché Centootto volte più grande del sole (678 pagine, 25 euro), dato alla stampa per i tipi della Carthago, è un libro che (qui è possibile leggere il primo capitolo) tocca talmente tante corde dell’animo umano da non lasciare insoddisfatto il lettore che decida di intraprendere le quasi settecento pagine di cui si compone.
Lo spunto? Una vicenda vera
Il romanzo di Puglisi (che collabora con LuciaLibri, in particolare con la rubrica “C’è del sacro…”) prende le mosse da un fatto vero, che lo scrittore trasforma in un inno sacro alla Vita, quella piena, quella vissuta fino in fondo, quella di cui, per parafrasare Thoreau, si deve succhiarne il midollo. Sullo sfondo di una Catania di primavera, che primavera non è, col suo caldo e le sue intemperanze climatiche, la giovane Alessandra, studentessa di terza liceo, prossima alla maturità, giocatrice di baseball nella squadra tutta al maschile della sua scuola, caparbia e schietta come solo il demone della giovinezza sfacciata e dirompente sa rendere, deve fare i conti con una belva feroce, una malattia che lascia scampo a pochi e sfida e sfregia chi si appresta a salire “il limitar di gioventù”. Costretta a trascorrere quella primavera nel suo letto d’ospedale, quando fuori la vita irrompe con la sua calura, la brezza marina investe i passanti del lungomare, la natura pizzica il naso con i suoi pollini, la vita di Alessandra si abbraccerà a quella di padre Giovanni, un sacerdote laureato in Matematica e Fisica, appassionato cultore di Simone Weil, che si ritroverà catturato dai codini della giovane, dal suo estremo bisogno di trovare un senso a quanto le accade e che metterà alla prova non tanto la fede, quanto la sua impotenza di fronte al dolore: «non sapeva ancora neanche che suono avrebbe avuto la voce di quella ragazza […] E già tossiva la sua polemica contro l’Altissimo» (p. 62). In questa appassionata ricerca di senso, in questa quête straziante e meravigliosa del senso della vita, i due protagonisti non sono soli: un microcosmo di personaggi, amici di lungo corso o divenuti tali durante la degenza in ospedale, fanno da corollario alla ricerca che porterà Alessandra e padre Giovanni a fare un viaggio dentro di sé, una catabasi che li trasformerà e con essi trasformerà tutti gli altri. Ognuno di essi ha infatti un nodo ancora irrisolto che scioglierà, grazie agli «orizzonti di comprensione della realtà» insiti nell’evoluzione degli eventi. Tuttavia, ognuno di quei personaggi, si lascerà “annodare” alla vita degli altri, alla cordata di affetti intrecciatasi intorno ad Alessandra, senza paure, né remore, facendo eco a quel modo di fare esperienza reale dell’Altro che era per Simone Weil l’empatia.
Trovare un senso
Di fronte all’apparente mancanza di senso di un male violento e inconcepibile, la giovane Alessandra decide che sarà lei a dargliene uno: sostenere l’esame di maturità e dare così compiutezza alla sua felicità. Grazie a padre Giovanni e al percorso introspettivo e di fede che la protagonista compie, Alessandra comprende finalmente che «felicità è quando inciampi su qualcosa che ti realizza, fosse anche un istante» (p. 541). Novella Nike, decide di affrontare la sua “buona battaglia” schiettamente, armata di «stupore e meraviglia» per gli universi di conoscenza che la porteranno al Senso ultimo, pronta a giocare la sua partita, a fare quel lancio fuori campo che dirà alla Morte che non l’avrà come lei la vuole.
Suggestioni fra cultura alta e bassa
Nuccio Puglisi si dimostra un lettore avido prima che scrittore, e sono tante le suggestioni letterarie, o meglio culturali che si possono cogliere dalla lettura di Centootto volte più grande del sole e che, assecondando il desiderio dell’autore, lascerò che sia il lettore stesso a scovare; dirò solo che il libro mette insieme gli elementi di “cultura alta” e “bassa” che l’antropologia culturale fa confluire in due diversi aspetti dello stesso concetto. Ecco allora che accanto alle meditazioni filosofiche e teologiche trova spazio la musica leggera della Pfm o dei Supertramp, accanto alla fisica quantistica c’è posto per le canzoni dei cartoni animati degli anni ’80. Ma attenzione, questa giustapposizione non vuole essere un sincretismo che annulla le specificità di ognuno di questi ambiti, anzi, ne vuole esaltare l’aspetto cognitivo e identitario: essi aiutano tutti, in un modo o nell’altro, a trovare una chiave di interpretazione esistenziale. L’autore riesce a tenere le fila del suo corposo romanzo con maestria e se è presente qualche sbavatura, la si può rubricare certo al desiderio di creare qualcosa che potesse toccare le corde più intime dell’essere umano, senza suscitare sentimentalismi ma, al contrario una profonda riflessione che partisse dalla conoscenza.
La forza dei dialoghi e l’aspetto ludico
Oltre che nei contenuti, mai banali, mai scontati, la forza del romanzo sta nei dialoghi, resi vivi non solo dalla capacità narrativa di dare corpo e voce ai personaggi, ma anche dalla scelta linguistica dell’italiano regionale, che arricchisce i personaggi di quelle sfumature tipiche dell’inflessione dialettale che dà loro spessore, che li radica nel territorio e che e li rende riconoscibili senza mai farli cadere nella macchietta. Non solo, l’uso della metalessi narrativa crea una complicità tale che i personaggi rimangono attaccati addosso come la pioggia leggera d’estate; sembra che da un momento all’altro si possa incontrare Alessandra, padre Giovanni, Lucio. Altra caratteristica dello stile di Puglisi è l’aspetto ludico: egli ama giocare prima di tutto con i piani temporali del racconto, ricco di prolessi e analessi, che avvincono il lettore senza tuttavia mai stordirlo. Inoltre questo gusto per il gioco si traduce anche in certi aspetti metatestuali che si disveleranno solo a un lettore avveduto e disponibile a partecipare alla “caccia” di senso ordita dall’autore.
Domande per scavarsi dentro
La tendenza di una parte della letteratura contemporanea è per una certa predilezione verso le storie a tutta trama, romanzi d’evasione che soddisfano sì il desiderio atavico dell’uomo di sentirsele raccontare, ma che lasciano poco, non lo mettono in discussione. Non è il caso di questa opera prima, libro che interroga sulle domande fondanti l’essere umano, un romanzo, quello di Puglisi, che invita tutti a interrogarsi, a scavarsi dentro; è un canto alla Vita, con tutte le sue molteplici sfumature emotive: l’allegria, il pianto, la rabbia, la consolazione, la disperazione. Un romanzo in cui, per dirla con le parole di Théophile Gautier: «il caso è forse lo pseudonimo di Dio quando non si vuole firmare».
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