Dopo l’esordio con “Milza Blues”, con “Mani crude” il palermitano Davide Ficarra torna a raccontarci le scorribande del Quartetto Fantasia (che ha una nuova componente) tra il Villaggio Santa Rosalia, quartiere del capoluogo siciliano, Milano, Bologna, fino in Marocco. Ancora una volta i piccoli criminali sfidano la mafia
A distanza di un anno Davide Ficarra ci regala il suo secondo romanzo, Mani Crude (173 pagine, 15 euro), edito da Navarra: il sequel del libro d’esordio Milza Blues e torna a raccontare le imprese del Quartetto Fantasia, orfano di un componente. Giovanni e i gemelli Totò e Francesco piangono la scomparsa dell’amico Nicola, ucciso insieme alla fidanzata Renata per volere del boss del quartiere, ma nel gruppo subentra Amanda, la sorellastra brasiliana del compianto.
Vendetta e soldi facili
Siamo agli inizi del 1984 e, “mentre in Italia e nel resto del mondo si discuteva di totalitarismo, libertà personali e nuove tecnologie”, in Sicilia Cosa Nostra continua a mietere vittime e Palermo resta sempre la città amara e feroce. I quattro giovani, non ancora ventenni, portano sulle spalle l’omicidio dei fratelli Manzella, i due guardaspalle del boss Enzuccio, considerati complici e autori dell’assassinio di Nicola e Renata. Il racconto ruota intorno agli omicidi dell’amico e del padre di Giovanni, messi in atto a distanza di quindici anni l’uno dall’altro, ma con le stesse modalità e strettamente connessi tra di loro. Nuove scoperte riaccendono la sete di vendetta del Quartetto Fantasia e alimentano il desiderio di lotta contro la mafia locale, ma restano fermi i propositi criminali e il piacere di guadagnare soldi facili i con l’inganno. Le scorribande, questa volta, varcano i confini di Palermo e del Villaggio Santa Rosalia per arrivare a Milano, Bologna, raggiungendo addirittura il Marocco.
Scie di sangue e Stato in crisi
Ficarra torna a raccontare l’oppressione di una generazione segnata da un destino che chi nasce in un quartiere difficile non può evitare, sebbene resti fermo per il Quartetto Fantasia la volontà di essere “altro” rispetto alla mafia. Sullo sfondo le guerre di mafia che versano sulle strade lunghe scie di sangue e la crisi dello Stato. In questa assenza di riferimenti sani ed educativi per i quattro ragazzi, si insinua la figura Filippo, nonno di Giovanni, che viene investito dal dolore per la scomparsa di Berlinguer e spinge il nipote ad affrontare il viaggio verso Roma per partecipare ai funerali dell’amato segretario del Partito Comunista Italiano. Nelle pagine del romanzo emerge, la nostalgia per una stagione politica destinata a non tornare più e, al di là dell’adesione ad un partito, è evidente la malinconia di chi non riesce più a riconoscersi in un’umanità nella quale rispecchiarsi e ritrovarsi uguali, non per ideologie o convinzioni politiche, ma per la stessa identità sociale. All’appartenenza politica di nonno Filippo, ex partigiano insieme alla moglie Paola, si contrappone il distacco di Giovanni, il senso di non appartenenza a un popolo (di comunisti e di estrazione proletaria) che ha «affidato il proprio destino a troppe giacche e troppe cravatte». Un ri-sentimento politico che sembra raccontare la contemporanea società italiana.
Generazioni a confronto
Nonostante la distanza tra due generazioni a confronto, c’è un elemento che accomuna Filippo e Giovanni: la sfida ad un potere che sembra avere solo cambiato sembianze come ci ricordano le parole di nonna Paola
“I mafiosi mi ricordavano tanto sia nazisti che i fascisti. Hanno lo stesso approccio sistematico e brutale con la violenza, se ne nutrono e il loro potere si fonda sul terrore della gente”
La sfida alla mafia, in cui si ritrova coinvolto il nonno insieme al nipote, ricorda molto le scelte già fatte in gioventù quando era salito sulle montagne a sfidare un potere altrettanto efferato e terribile. Una sfida che trova come punto di congiunzione la vendetta, vissuta come una vera e propria guerra di liberazione familiare
Un destino che non si spezza
“Un pezzo del loro cuore era rimasto a Marzamemi, sulle spiagge bianche di Vendicari, ad Ortigia, tra i capelli arancioni di Sonia e Stefania, nelle parole sagge di Claudio e dei vecchi pescatori, nei tramonti e nelle albe di quella parte perduta di Sicilia”
Ciò che emerge tra le pagine è l’idea che il destino di chi nasce in un quartiere come il Villaggio Santa Rosalia non possa essere diverso da quello che è in quanto determinato da un insieme imponderabile di cause e di eventi che influenzano la vita. E’ come se un essere o una , potenza superiore regola la vita secondo leggi imperscrutabili e immutabili, tanto che la speranza di un’emancipazione rimane confinata dentro quel mondo, non se ne allontana: “era il crimine l’unica carriera progressiva dentro un contesto sottoproletario, l’univa vera possibilità di riscatto economico ma mai sociale”. Fa da contraltare la voglia di spensieratezza del Quartetto Fantasia, in eterna lotta tra passato e presente. I quattro amici riscoprono l’amore, i viaggi e la voglia di riscatto, sebbene il fardello sulle spalle resti pesante. Ed ecco la descrizione dei luoghi bellissimi che visitano, delle nuove amicizie strette, dei progetti e dei sogni di un futuro che sembra finalmente essere diventato roseo
Ficarra, in questo secondo libro, dedica ampio spazio alla purezza delle relazioni e dei rapporti interpersonali,sia nuovi che ritrovati come quello tra Paola e la figlia Marta, mamma di Giovanni: ci sono nodi che si riallacciano e altri che sciolgono, c’è la voglia di fare pace con il proprio passato, di mettere una pietra sopra sulle vicende trascorse. Non prima, però, di avere portato a termine la vendetta.
L’autore ha ancora una volta il merito di descrivere la vita di chi proviene da un quartiere palermitano “a rischio”, mettendone a nudo le contraddizioni; alle parole e ai dialoghi affida spunti di riflessione per il lettore. Al quale, come sembra, non resta che attendere il terzo romanzo della serie.