Rappresentazione e realtà, riflessione sul romanzo, racconto del Sessantotto siciliano, campionario di amori e seduzioni: tutto questo è “La domenica vestivi di rosso”, il più recente titolo di Silvana Grasso
La scrittrice dalla chioma rossa e la signora in rosso. La fulva Silvana Grasso, penna lussureggiante e di grande tensione, e Nerina Garofalo, la sua ultima creatura, che la domenica veste di rosso e, neonata è arrivata in una famiglia che attendeva spasmodicamente un maschietto. Inevitabile pensare a una sovrapposizione, trasfigurata nella pagina, fra la fertilissima autrice siciliana e il suo personaggio sfrontato e sfrenato, carico di eros, ribellione alle convenzioni, trasgressione, marchiato da un dettaglio anatomico che la accompagna dalla nascita, sei dita dei piedi, peraltro magnetici agli occhi dei suoi amanti. Poco più di un quarto di secolo è trascorso dal debutto di Silvana Grasso, ma intatte sono la sua ricerca linguistica (che nel suo ultimo romanzo sconfinano nella scurrilità reiterata, con zero allusioni e zero reticenze), il suo trasporto per la letteratura che è passionale e cerebrale, la voglia di scrollare di dosso stereotipi folkloristici ai luoghi e ai cuori che racconta.
L’emancipazione metafisica e carnale di una provinciale
Dopo tanti anni il rischio di scivolare nei manierismi c’è. Ma nel romanzo di formazione ed emancipazione di una provinciale che finisce per essere La domenica vestivi di rosso (188 pagine, 16 euro), pubblicato dalla casa editrice Marsilio, Silvana Grasso sbanda appena appena, poi riprende la strada maestra. Riflessione sul romanzo e sul romanzesco, con fitti riferimenti alla letteratura e al teatro; racconto del turbolento Sessantotto in salsa siciliana, come eco di quello che accadeva altrove; campionario di amori e seduzioni (è Nerina a sedurre parecchi uomini, fino all’ultimo, il Professore; e sempre andando oltre tanti limiti, quasi a voler compensare la menomazione, a minimizzarla, a mostrarsi diversa, ma sempre in meglio), La domenica vestivi di rosso non ha la poesia de L’incantesimo della buffa, la prova migliore di Silvana Grasso nell’ultimo decennio, ma è comunque un romanzo metafisico e carnale («Un romanzo – scrive – deve invece molestare, molestare chi lo scrive, molestare chi lo legge, schiaffeggiarlo, bastonarlo, ridestarlo»), in linea con la sua produzione. C’è stata una naturale evoluzione rispetto alle prime e bellissime sue opere, quelle per l’editore Einaudi, con cui s’è affermata, ma di fondo c’è un’idea di mondo che attinge alla tradizione siciliana migliore, reinterpretata e rivitalizzata. L’alter ego Nerina, una vita contro pregiudizi e perbenismi, è orfana di madre (che s’è suicidata) e in qualche modo anche del padre (emigrato Oltreoceano). Vive nell’immaginaria Vulcanello con la madrina, Annina, obesa, poco loquace e con problemi di diabete, e con la figlia della madrina, Natalina, dedita al… ferro da stiro.
Una bellezza audace in un ambiente bigotto e guardone
Bellezza prorompente dai capelli fulvi, che si muove sinuosa su tacchi a spillo, Nerina si contrappone alla normalità e alla sua ipocrisia, all’ignoranza del conformismo, a un ambiente bigotto e guardone. Quando seduce sembra quasi recitare, non s’innamora, si limita fin dalla giovinezza a concupire, ad ammaliare inesorabilmente, in genere uomini più maturi, fino all’ultimo, che chiamano il Professore, vive con un gatto, Platone, e, in attesa di completare da sempre la propria tesi di laurea, dà una mano a varie studentesse, scrivendo le loro. Dalla dialettica fra l’irrequieta e anomala Nerina (che cerca spunti e personaggi per un romanzo) e il sessantenne Professore scaturisce un finale che incanta nella sua tragicità, un finale degno di un classico.
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