Calaciura, sulle rotaie un’umanità senza salvezza

“Il tram di Natale” di Giosuè Calaciura è un romanzo senza protagonisti che avrebbe potuto essere un saggio. Una storia di ultimi e reietti in cui il narratore eterodiegetico vive comunque un profondo coinvolgimento emotivo che giustifica la poesia che si intravede in molte pagine

Il tram di Natale (107 pagine, 10 euro) di Giosuè Calaciura, edito da Sellerio, è un romanzo senza protagonisti, una narrazione che avrebbe potuto essere un saggio, il cui tema da trattare sarebbe stato la condizione di vita di uno specifico strato sociale: gli ultimi, i più poveri, quelli che a stento riescono, al massimo, a procurarsi un pasto al giorno. Eppure l’abilità letteraria di Giosuè Calaciura ha saputo farne un romanzo in cui non si parla dei festeggiamenti della notte di Natale, né degli eventi particolari o divertenti vissuti dai personaggi, ma dell’assenza dell’unico, vero protagonista, Gesù bambino, della mancanza della sua nascita salvifica, redenzione per tutta l’umanità, dell’«eterna latitanza di Dio, senza promesse di riscatto se non le illusioni che ci aiutano a tirare avanti, la bugia che ci distrae e ci condanna ad accettare la nostra condizione» (pag. 92).

Un fagotto abbandonato e il piccolo borghese

È la vigilia di Natale, un tram che fa capolinea all’estrema periferia della città, diventa la grotta di Betlemme, un fagotto abbandonato nell’ultimo sedile diventa Gesù bambino, i diseredati che, finita la giornata, progressivamente salgono, sono coloro che accorrono a visitare Gesù, la speranza di salvezza che però non c’è. L’autista, chiuso nella sua cabina con i vetri coperti da fogli di giornale, è il piccolo borghese, costretto a fare un duro lavoro giornaliero per vivere e che perciò tende a non guardarsi intorno, pronto, a stento, a sopportare la durezza del suo lavoro, «la claustrofobica osservanza dei solchi crocifissi sull’asfalto» (pag. 14), finché, alla fine, anche lui decide di fuggire  dalla schiavitù del dovere e liberamente correre all’impazzata, fuori dalle rotaie e senza fermate.

La redenzione che non c’è

È un mondo senza possibilità di riscatto, di speranza, di salvezza, dove gli ultimi e specialmente quelli di colore, anziché essere aiutati, vengono vessati da un razzismo inusitato, praticato dal potere attraverso i volontari della patria e le forze dell’ordine. Il romanzo può quindi considerarsi nella creatività inventiva dell’autore, una metafora dell’attualità socio-politica e nello stesso tempo, se lo consideriamo come espressione della sua profonda umanità, una dura denuncia della sofferenza dei più deboli e dell’insensibilità dei potenti e di molte persone annebbiati da negazionismo, da razzismo, da pregiudizi che sembrano far scivolare verso compartimenti che sembravano ormai del tutto rinnegati.

La fragilità della nostra civiltà

Non è difficile incontrarsi con persone annebbiate da pregiudizi culturali, sociali ed economici («non si dovrebbero permettere simile scene agli occhi dei turisti», «fa schifo», «come è sporco, allontanati!», «perché non va a lavorare e si guadagna il pane?», «lascialo andare, quello spaccia droga», «non do soldi a chi stasera andrà a rapinare», etc…) che di fatto evidenziano la fragilità della nostra civiltà, incapace di confrontarsi con i diversi, i diseredati, gli ultimi. Cosi, invece di reagire alla sfida costruendo un mondo più giusto per tutti, spesso si fa finta di non comprendere le vere cause dei problemi e si dà la colpa di tutto ai più miseri, ai più deboli, quali i personaggi che progressivamente salgono sul tram: la prostituta africana, il suo disgraziato cliente, il clandestino che vive di espedienti, l’artista malato,  etc… ognuno con la sua storia, i suoi pensieri, la speranza di un riscatto che di fatto non c’è, né potrebbe esserci perché è venuta meno anche la speranza in Dio che con il suo manifestarsi al mondo possa garantire giustizia e bene per tutta l’umanità.

Una dimensione onirico-surreale

L’idea che i reietti possono essere argomento anche della letteratura alta è sicuramente l’eredità più importante che la narrativa dell’Ottocento ha consegnato a quella del secolo successivo, infatti il Realismo e poi il Neorealismo sono in genere accompagnati da una pratica di scrittura che sa farsi testimonianza e spesso denuncia; nel secolo in corso, sicuramente Giosuè Calaciura prosegue questa tendenza ma ne Il tram di Natale (qui un’altra nostra recensione), la realtà è calata in una dimensione onirico-surreale, in cui si consuma ogni speranza, anche quella di un conforto metafisico, divino poiché alla fine,  si rivela anch’esso inganno ed illusione: Gesù non nasce per i reietti, per loro solo un fagotto… di stracci. Tutto ciò lo scrittore ce lo propone con uno linguaggio pregnante, spesso intriso di lirismo, perché, al di là della sua posizione di narratore eterodiegetico, vive un profondo coinvolgimento emotivo che giustifica la poesia che in molte righe s’intravede.

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