Un grande viaggio o un’amara illusione: è quello che racconta Nara Vidal nel romanzo “Sorte”, di recente pubblicato dall’editore brasiliano Moinhos. La fuga di una famiglia dall’Irlanda verso un mondo migliore, una giovane donna che cambia vita e mondo, trovando, nel male, poco di mutato ma una compagna con cui condividere il proprio disagio, la solitudine, le speranze infrante
E se il Brasile non fosse uno Stato dell’America Latina, ma un’isola leggendaria situata nell’estremo nord delle coste irlandesi? Nel suo ultimo libro, Sorte, da poco pubblicato dalla casa editrice brasiliana Moinhos, Nara Vidal ci racconta di un grande viaggio, o forse di un’amara illusione: la fuga verso un mondo migliore.
Un’isola irlandese e una via di fuga
Hy-Brasil è un’isola circondata da un mare «cor de chimbro» (color del piombo), nascosta da nebbie e vapori, difesa da insidie e da un mostro di sabbia affamato di carne umana a guardia di un enorme smeraldo. La leggenda celtica vuole che i figli e le figlie degli uomini morti invano nel tentativo di sbarcare sull’isola cambino il colore degli occhi: uno verde, come il grande smeraldo
che l’isola nasconde, l’altro grigio come il mare di piombo dal quale è bagnata. Non è solo una fantasia, un’illusione, una leggenda. La trasfigurazione del mito ha sempre un ruolo di prim’ordine: ci fa credere in un sogno, ci dà una speranza di evasione, ci fa intravedere una via di fuga. La via di fuga è un lungo viaggio che dall’Irlanda del Nord giunge fino al lontano Brasile, quella terra diventata simbolo di ricchezza, prosperità e calore agli occhi di una famiglia povera irlandese costretta ad emigrare durante l’epidemia della patata nel 1827, e con loro centinaia di persone a cui non rimane più nulla da perdere se non il rimpianto di abbandonare la propria casa.
Voce asettica e sentimenti intensi
Ci accompagna la voce della protagonista Margareth Cunningham che racconta i soprusi subiti dalle donne nella sua famiglia, la sorte di essere nata donna e povera, l’amore che ha lo spazio di un raggio di sole che entra timido nella cabina di un transatlantico, la religione che mortifica l’anima e lo spirito.
È una voce cruda, asettica, distaccata, che amplifica l’intensità dei sentimenti che rivela e delle sofferenza che ricorda con il distacco di chi, dal troppo dolore, è immune alla veemenza delle emozioni. Una scelta stilistica che ho apprezzato molto e che ritengo estremamente efficace nel sottolineare la condizione di miseria degli immigrati irlandesi in Brasile, una carestia che è anche
essenzialità del linguaggio.
In questo racconto il Brasile non smette di essere un’illusione e Margareth ritorna spesso al racconto di quell’isola misteriosa che a tanti anni di distanza dall’infanzia trascorsa in Irlanda le appare ora profetica: non c’è ricchezza, non ci sono prospettive di miglioramento nel nuovo continente e la schiavitù ha solo cambiato nome, non più fame ma campi di lavoro. Gli uomini forti sono arruolati nella guerra contro la vicina Argentina mentre le donne, i vecchi e i bambini sono destinati al lavoro nei campi. È proprio in una di queste grandi fazendas dove Margareth andrà a vivere insieme al padre e alle sorelle.
Il ricordo della madre e la schiava amica
Qui l’identità diventa a poco a poco evanescente, il ricordo di casa sbiadisce nella ripetizione degradante dei giorni dove la magia e l’onirismo della cultura nera trascendono il reale. Solo la figura della madre, morta prematuramente durante il viaggio per mare, rimane immutabile e radicata nella coscienza più profonda di Margareth. Il ricordo materno si sovrappone alle pareti di casa a tal punto che la sua morte improvvisa è riassunta da Margareth in queste poche, risolute parole: abbiamo perso le chiavi di casa.
Troverà nella schiava afro brasiliana Mariava, discendente di schiavi angolani imbarcati a forza su una nave diretta in Brasile, una compagna con cui condividere il proprio disagio, la solitudine, le speranze infrante, le difficoltà di vivere in un paese sconosciuto e quel segreto che tutte le indicano come imperdonabile colpa: essere una madre nubile. Mariava è un personaggio indimenticabile
dalla forza portentosa di chi decide di affrontare il proprio destino senza resa, di chi cade e ha il coraggio di rialzarsi in piedi con ferma determinazione.
La memoria è un atto di giustizia
Ho amato l’indipendenza e la determinazione di Margareth che decide di credere a se stessa e alle proprie emozioni rifiutando, quando si scopre gravida, la vergogna e il senso di colpa con cui una società maschilista e l’oppressione del cattolicesimo cercano di ammansire la figura della donna. La chiesa le porterà via il figlio subito dopo il parto, affidandolo in adozione ad una famiglia “per
bene” e facoltosa. La dedica iniziale del libro è un tributo a queste donne “cadute” “che non hanno mai avuto il diritto di dire di no” e le cui storie personali rimangono sconosciute. La memoria, ne sono sempre più convinta, è un atto di giustizia e la letteratura, nella sua lotta costante contro il sopruso del silenzio, dà voce a chi voce non ne aveva.
Un libro che mi ha regalato emozioni immense e tanta, tanta forza.
“La saudade è un castigo peggiore del castigo di essere donna, biondina. Sono già nata da questa terra. Ma non mi vogliono qui se non per sfruttarmi, per picchiarmi. Per questo sento saudade di quello che non è successo. Avrei potuto rimanere in Angola, da dove veniva mia madre. Hanno strappato la nostra gente da là senza neanche una parola”.
“Non proviamo saudade di ciò che non conosciamo, Mariava”
“Ne sentiamo, biondina, e molta. Ho piantato nel mio piede l’immagine di una casa. Ci sono giorni senza pioggia ed è quando mi lascia in pace, quando non mi tormenta l’animo. Ci sono giorni di pioggia che innaffiano la mia saudade e fanno crescere fertili gli assilli del cuore. È qui che vedo un futuro lacerato che non è mai accaduto. Ma è esistito. Sono io che non sono arrivata in tempo.
Mi hanno portato via il futuro e adesso vivo qui in Brasile”.
Ma chi è l’autrice, Nara Vidal? Con un po’ di “Sorte” a breve avremo la possibilità di parlare con l’autrice in un’intervista riservata a Lusoteca* e poi condivisa con LuciaLibri!
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