Un padre, Paolo, si racconta a una figlia, Martina, in “Come cenere a Vallaida”, romanzo di Stefania Rinaldi. Una storia in cui l’uomo è “teatro” attivo e vivo di emozioni, lo spazio fisico è privo di contenuti e sono gli individui che danno senso e significato alla realtà
«Stupefatto del mondo mi giunse un’età che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo. Ascoltare i discorsi di uomini e donne non sapendo rispondere, è poca allegria. Ma anche questa è passata: non sono più solo e, se non so rispondere, so farne a meno. Ho trovato compagni trovando me stesso». (Cesare Pavese)
Settant’anni di storia
Il romanzo Come cenere a Vallaida (330 pagine, 18,90 euro) di Stefania Rinaldi, edito da Bonfirraro, ripercorre attraverso un flashback gli ultimi 70 anni di storia, pur essendo ambientato nel 2000. Le diverse azioni, cariche di felicità, vengono raccontate da Paolo, ovvero uno dei protagonisti del romanzo, alla figlia Martina. Quest’ultima, non solo ascolta le parole del padre, ma, reinterpreta un suo nuovo modo di vivere, carico di un nuovo significato, rafforzato e integrato dalle emozioni espresse dal padre. In tale ottica Viola, ovvero, la madre di Martina, che dal punto di vista psicologico risulta avere un carattere forte e determinato, ha una grave malattia – l’Alzheimer – di cui Paolo si farà carico anche di raccontare alla figlia.
Una terra fisica, metafora della vita
La cornice dell’intera narrazione di Rinaldi diventa la vera protagonista, ovvero Vallaida: «Ero ancora in fasce quando mi portarono qui, all’interno di questa immensa valle. Ogni singolo centimetro di questa terra è stato spettatore della mia infanzia, compagno di gioco dei miei anni più teneri; ricordo, proprio come fosse ieri, quelle folli corse a perdifiato sul prato fresco di rugiada, con i piedi umidi e vogliosi di spingersi sempre più in là, oltre ciò che oggi vedi e che, allora, mi apparteneva al punto tale da sentirlo scorrere in me come fosse linfa vitale». Apparentemente Vallaida è «terra» fisica; si potrebbe ipotizzare che si tratti di una piccola frazione del nord. In realtà si tratta di una metafora della vita, in cui l’uomo attraverso il suo saper fare e saper essere costruisce la sua stessa vita, in relazione con gli altri. Ad esempio, il ricordo di Paolo verso i suoi nonni è carico di significato, tale da essere sempre vivo e attivo in ogni momento di vita della sua famiglia. Paolo, racconta come la madre Bianca avesse amato il proprio lavoro, d allo stesso tempo non ha mai trascurato l’amore e l’attenzione verso i suoi figli, proprio come Paolo nei confronti della figlia Martina.
Combattere per i propri sogni
Quest’ultima, viene sostenuta dalla famiglia nel perseguire la propria passione, la fotografia, non dimenticando di quanto possa essere brutta la lontananza dalla propria terra per andare in America a realizzare un sogno. Infatti l’intera narrazione prosegue con la ricerca continua e la consapevolezza di perseguire i propri sogni: «Ho cercato di chiudere col passato, di farmi una ragione della morte dei miei genitori, investendo tutti i miei sentimenti, i miei sogni, le mie speranze in quella che, dacché respiro, è l’unica, vera famiglia che il cielo mi abbia mai donato: la nostra. Ma se c’è una cosa che ho imparato da mio padre Flavio e mia madre Bianca è che la vita, una volta sfuggita via dalle nostre mani, non si può abbandonare sui binari dell’oblio, rassegnandosi a un domani che non avremmo mai voluto vivere: mio padre sognava il teatro e l’ha avuto, mia madre sognava l’amore di mio padre e, nonostante tutta la sofferenza, è andata via felice tra le sue braccia. Combattere, Martina, è questo che bisogna fare per ottenere ciò che si desidera».
il luogo privo di contenuti
Determinante è il riferimento al teatro di Verdi: infatti, la storia di Paolo e Viola che, ironia della sorte, sembra essere stata partorita dall’abilità di Giuseppe Verdi che, meglio di chiunque altro, riesce a portarla nei due più importanti teatri che hanno segnato la vita di Paolo. Ma non solo, i riferimenti a Puccini, Bizet e, insieme a loro, tutti i più grandi compositori della storia della lirica, non mancarono di apprezzare la meraviglia delle rappresentazioni tratte da Pirandello, Shakespeare, Molière, lasciandosi, di tanto in tanto, incantare dalla brillante comicità nata dall’estro del principe De Curtis o di De Filippo. Vallaida, è ciò che ognuno di noi costruisce giorno dopo giorno; in tal senso, per l’autrice, l’uomo è “teatro” attivo e vivo di emozioni, espressione autentica; lo spazio fisico (che potrebbe essere Vallaida o qualsiasi altro luogo) è privo di contenuti; sono gli uomini che danno senso e significato alla realtà.
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