Rosita Mulé, protagonista de “L’animale femmina” di Emanuela Canepa sembra una vittima predestinata ogni giorno della propria vita. L’incontro col disilluso e misogino avvocato Lepore gli regala una grande opportunità. Un romanzo difficile da dimenticare…
Medievalista, ma anche laureata in Psicologia, bibliotecaria, ma soprattutto scrittrice di razza. Ha esordito non giovanissima Emanuela Canepa, ma la lunga attesa e il tempo in cui ha lavorato al suo romanzo di debutto, hanno consegnato un’opera matura, di finissima psicologia, di congegnata struttura, che autori ben più consumati non trovano nemmeno in stadi avanzati della carriera. L’ineluttabile percorso di vittima che la vita sembra aver assegnato all’antieroina di Canepa, Rosita Mulé, scorre inesorabile: fa i conti prima con la madre, poi con l’addio alla propria terra, con un percorso di studi che prosegue a rilento, con un lavoro insoddisfacente e malpagato, uno scorrere di giorni senza picchi. L’esistenza, però, svela Rosita, che narra in prima persona, per quel che è: non un essere passivo, ma che sa anche digrignare i denti e dar vita a una rivoluzione personale. Ecco cosa c’è in uno dei romanzi più sorprendenti dell’ultima stagione letteraria, approdato all’officina romana di Einaudi, Stile Libero, affidato alle cura di Rosella Postorino, nelle vesti di editor, e arrivato in libreria come L’animale femmina (260 pagine, 17,50 euro).
Interiorità psicologia e architettura
Ne L’animale femmina Canepa è riuscita a intrecciare con equilibrio, senza rinunciare al”una o all’altra, l’interiorità psicologica di un personaggio, Rosita, e un’architettura in cui inserirlo, dal passato al presente. Rosita non intende immergersi nell’archetipo di ragazza di provincia del sud a cui, per lei, aspira la madre. Cerca la vita altrove. Finisce studentessa universitaria fuori corso e cassiera a Padova (la città dove Canepa, romana, vive), a fare i conti probabilmente con un amore sbagliato. Poi l’incontro – galeotta la restituzione di un portafoglio – con un misantropo e misogino, come l’avvocato divorzista Lepore, che ha circa una settantina d’anni, la espone a un legame di dipendenza (accetta di diventarne la segretaria, per evidenti difficoltà economiche, lascia il supermercato, pensa di poter riprendere a dare qualche esame all’università) e a un ruolo subalterno, tanto da subirne quotidianamente le frustrazioni e da essere colpita nei punti deboli, spesso in modo subdolo. Sembrerebbe un confronto a senso unico, col personaggio perfido (di cui l’autrice fa bene a raccontare anche il passato in terza persona, con un flash-back che svela la sua disillusione e la sua generale avversione per le donne) che straripa, il duello però finisce per avere un andamento sorprendente, di fatto Rosita evolve e inizia a parare i colpi, la dialettica psicologica è tutto fuorché scontata ed è dispiegata in modo magistrale (fino all’episodio di una statuetta votiva etrusca, antico pegno d’amore, da recuperare…).
Fallimenti? Potenziali piccole rivoluzioni
Da manipolazione, assedio e vessazioni mentali nasce una ribellione silenziosa, una rivalsa capace di sovvertire i ruoli e far vacillare il carnefice. L’avvocato provoca, pensando di aver di fronte un essere prevedibile. Si sbaglia. È in questo snodo che sta l’abilità di Canepa, che tiene alta la tensione, cuce assieme particolari e sfumature, costruisce una storia che può sembrare una collezione di fallimenti, per la sua Rosita, ma che finisce per essere un susseguirsi di potenziali piccole rivoluzioni, e basta afferrarne una davvero, per cambiare tutto. Il coraggio per lasciare la provincia campana non resta isolato. la sconfitta che sembra insita nell’anima di Rosita può evaporare e forse è il suo “nemico” a regalargli questa grande opportunità. L’animale femmina tocca vette, è un romanzo difficile da dimenticare.
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