“L’animale femmina” è il debutto di Emanuela Canepa, vincitrice del premio Calvino: una ragazza s’affranca dal giogo materno, cambia vita e città, finisce in una spirale di angherie e violenze verbali, si ribella e conquista il proprio posto nel mondo
Emanuela Canepa esordisce con L’animale femmina (260 pagine, 17,50 euro), pubblicato da Einaudi Stile Libero, dopo aver vinto l’edizione 2017 del Premio Italo Calvino. Rosita lascia la provincia di Salerno per iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Padova, perciò si trasferisce nella cittadina veneta. L’intenzione è di studiare, sì, ma anche quella di affrancarsi, di sottrarsi al giogo della madre molto protettiva, che invade continuamente la sua vita e che lei stessa riconosce di aver sempre visto quasi con timore.
«Volevo vivere»
«Da bambina – si legge nel libro di Canepa – non facevo altro che aspettare che puntasse gli occhi su di me. Non è che mi trascurasse, al contrario. Non mi ha mai fatto mancare niente. Ma non mi guardava mai. Ogni atto di cura veniva messo in pratica con la stessa perfezione meticolosa del resto, con la mente già proiettata all’incombenza successiva. Infilarmi una maglietta o preparare la base del soffritto erano attività che implicavano lo stesso grado di coinvolgimento. Io non facevo mai la differenza. Quando ero pronta per uscire e mi chiudevo la porta di casa alle spalle – il grembiule stirato col fiocco blu, la cartella sulle spalle, il sussidiario rilegato e la merenda nel cellophane – nella sua lista mentale ero solo una voce spuntata. A un certo punto ho capito che continuare a sperare era solo una scelta tossica. A partire dai quattordici anni nella mia testa ha cominciato a prendere forma un pensiero spontaneo e ossessivo di cui mi vergognavo a morte, ma che non riuscivo a censurare: “Devo andarmene da questa casa o mi verrà una brutta malattia”. Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine, non so bene come, ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere».
Cambiare rotta
Rosita ci prova vuole dire la sua, vuole scegliere la propria strada, cambiare rotta. Tuttavia la vita a Padova non è facile, una città in cui non conosce nessuno, in cui deve sopravvivere con le sue sole forze. Allora dopo una prima fase di ribellione, Rosita si adatta. Non senza traumi però. Un lavoro sottopagato per restare a galla, pagare l’affitto e le spese. Intreccia una storia con Maurizio, che però è un uomo sposato e che non potrà mai darle la completezza di una coppia che condivide lo stesso cammino.
L’incontro che sconvolge la vita
La storia di Rosita potrebbe iniziare e finire qui. Se non fosse che il destino spesso ci mette lo zampino. La vigilia di Natale, uscendo dal supermercato, trova per terra un portafoglio. Vuole restituirlo a tutti i costi al suo proprietario. Così nella sua vita fa l’ingresso Ludovico Lepore. Anziano avvocato che esercita anche se segue solo poche cause, quelle di vecchi clienti. L’incontro con Lepore le sconvolgerà in tutto e per tutto, la vita. Le offre un lavoro, diventare la sua segretaria, e Rosita che non ce la fa a pagare l’affitto già in debito per la riparazione della caldaia, accetta. Tuttavia non sa a cosa va incontro. Il ruolo di Lepore, per quanto violento, che con le sue angherie, con le sue violenze verbali, è quello di destare dal torpore una donna che si è lasciata convincere che la vita sia tutta lì. Non è un benefattore, ma la consapevolezza cui approderà Rosita è che nessun destino è già segnato. Rosita è l’animale femmina che si conquista con ribellione e adattamento il suo spazio.
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