La luce dei suoi occhi e i suoi libri che scardinano fanatismi, che dubitano della felicità, o che ci credono ostinatamente, che colpiscono al cuore. Anche questo è Amos Oz
Guardate bene la luce degli occhi di Amos Oz. È la stessa dei suoi libri senza tempo.
Per chi legge, con Oz è scomparso uno degli amici migliori, il bambino e l’adulto di Una storia d’amore e di tenebra. Per chi legge Amos Oz, lo scrittore che abitava nel deserto, vive per sempre, con i suoi libri severi e compassionevoli, con le sue idee perennemente orientate verso le stelle comete del dialogo, della pace (nell’autodifesa), della coerenza e della speranza, di pagine bianche riempite per inebriare, per tormentare, per scardinare i fanatismi, per dubitare della (o per ostinarsi a credere nella) felicità, per colpire al cuore.
In quest’anno senza Nobel, se ne va un altro scrittore più famoso del Nobel, come Philip Roth. Solenne come il non troppo amato Agnon, immerso nel cuore dell’animo umano come Grossman, degno di stare accanto all’amato Cechov, provinciale, cioé universale, alla maniera di Sherwood Anderson. Impareggiabile nell’incarnare donne, a cominciare dalla Hannah di Michael Mio, romanzo pubblicato a ventinove anni.
Lei, Hannah scrive così:
«Ora ho aperto gli occhi. Addio Michael. Io rimarrò alla finestra a tracciare disegni sui vetri appannati. Se ti farà piacere, potrai pensare che io ti stia salutando. Non sarò io a disilluderti. Ma io non sono più con te. Siamo due persone, non una sola. […] Addio. Forse non è troppo tardi se ti dico che non è dipeso da te. Né da me».
Chissà da chi è dipeso il suo commiato. Niente retorica, però, del vuoto e del sentirsi più soli. Con le storie di Oz, leggendole e rileggendole, la vita continua, sempre più bella.