La scrittrice Maria Attanasio ridà vita in un romanzo a Rosalie Montmasson, unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille, poi moglie di Crispi, che la abbandonò. «La sua rimozione dalla memoria collettiva nasce da una doppia violenza, politica e di genere. Fino alla fine fu coerente con gli ideali politici di una vita. Chi gestisce oggi il potere non credo sia interessato a recuperare una figura del genere e l’immagine di un altro Risorgimento, che al sud partì dal basso»
Con La donna di Marsiglia (Sellerio) Maria Attanasio ridà volto e memoria ad una «oscurata protagonista del Risorgimento».
Unica donna al mondo capace di meritarsi l’appellativo di «garibaldina» non in senso figurato, ma perché partecipò davvero alla spedizione, Rosalia Montmasson fu compagna e poi moglie del Francesco Crispi esule in fuga, prima, e potente ministro del Regno, dopo, oltre che la vivace ed agguerrita protagonista di quel movimento rivoluzionario che, intriso di azione ed utopia, immaginò e propugnò, non senza rischi, la piena e completa attuazione delle proposte repubblicane.
Rosalia Montmasson fu, dunque, una di quelle donne che «non mollano mai» e che «però, sanno perdere molto bene» come la Katie Morosky (interpretata da Barbra Streisand) del film Come eravamo di Sidney Pollack. Una figura che a distanza di anni è capace di aprire una breccia nei pensieri di chi, come l’autrice, sta solo navigando su Internet. L’abbiamo intervistata per farci raccontare questo incontro fortuito ed importante.
Gentile signora Attanasio, della repubblicana e proletaria Rosalia Montmasson, leggo nell’appendice, lei non sospettava l’esistenza fino al 2010. Cosa successe in quel fatidico pomeriggio e, soprattutto, negli anni successivi e cosa le ha lasciato questa esperienza?
«In un pomeriggio di noia, andando di sito in sito, scoprii l’esistenza di Rosalie Montmasson, e la sua presenza – unica donna – nella Spedizione dei Mille. I Mille, fino a quel momento, per me, erano declinati solo al maschile. E non solo per me, nessuno dei miei conoscenti a cui nell’immediato chiesi notizie ne sospettava l’esistenza; un inspiegabile silenzio su un fatto assolutamente singolare, che riguardava uno degli eventi fondativi dell’Unità d’Italia».
Tutto questo la conquistò…
«Sì, posso dire che per Rosalie Montmasson fu amore a prima vista: dovevo sapere, capire il perché di questo silenzio. una vera e propria damnatio memoriae che si è protratta per oltre 150 anni. Da qui la mia ricerca matta e disperatissima, durata più di un quinquennio, per restituire giustizia storica e visibilità esistenziale alla cancellata eroina dei Mille. E cercare la verità sulla sentenza assolutoria a favore del grande statista, che è all’origine della cancellazione storica di Rosalie, ma sulla cui onestà storici e biografi crispini non hanno infatti mai indagato».
E qual è il risultato di questa ricerca?
«Che Crispi era, invece, colpevole. I documenti, che – se cercati avrebbero potuto dimostrare la piena legalità del matrimonio maltese e l’impostura di Crispi – c’erano, e ancora ci sono, nell’archivio arcivescovile di Floriana, a Malta. Ma nessuno, né allora né dopo, si è preoccupato di cercarli. E tantomeno di cercare e restituire voce alla libertaria e repubblicana Eroina dei Mille».
Da qui il libro. Per l’eroina dei Mille, lei ha voluto scrivere «un romanzo che pur nell’inevitabile finzione letteraria, le rendesse umanamente e storicamente giustizia; ma poche e confuse erano le notizie, a partire dal nome che non era Rose ma Rosalia»: pensa che se al suo posto ci fosse stato un uomo le cose, poi, sarebbero andate diversamente?
«La cancellazione di Rosalie Montmasson dalla memoria collettiva nasce da una doppia violenza – politica e di genere – in quanto mazziniana e repubblicana moglie del monarchico Crispi, che, pur non esistendo il divorzio, dopo più di vent’anni di matrimonio si libera di lei e si risposa. Accusato di bigamia, il potentissimo uomo politico, viene assolto; e annullato il suo matrimonio con l’eroina dei Mille. Per ragioni politiche poteva accadere – ed ancora accade – che anche un uomo sia cancellato dalla memoria collettiva; ma, per violenza di genere, no. Non ho mai avuto notizia di donne bigame. Soggette alla patria potestas, le donne potevano al massimo avere un amante, non sposarsi».
Nel suo libro si parla di una sentenza che fece da spartiacque tra una storia d’amore e una gigantesca impostura e che cambiò per sempre la vita di questa donna mai doma. Perché “essere un’eccezione la riempiva d’orgoglio”, lei annota. Sarebbe stato più comodo ribellarsi, ma lei non volle. Per Fransuà o anche per altro?
«Resta abbastanza misterioso questo suo silenzio, che, durante il procedimento istruttorio nei confronti del marito, sconcertò i giornali e il paese – lei era infatti popolarissima. Non fece nulla per difendersi. Si pensò a pressioni politiche della sinistra storica, anche da parte dello stesso Garibaldi; a ricatti economici – il timore che il suo ex marito non le passasse più gli alimenti; al suo ostinato amore, perché parlando avrebbe rovinato la sua carriera».
La verità, allora, forse risiede altrove…
«Sì, io credo che la verità sia un’altra. Rosalie era una donna libera e consapevole di sé, della sua dignità, che non avrebbe mai accettato una farsa sentimentale: tenersi l’uomo amato accanto. solo per dittatura di carte bollate e tribunali. In questo senso molto vicina alla nostra sensibilità contemporanea».
Per tutto quello che lei racconta, Rosalia fu “la garibaldina”, “la moglie del deputato” e “l’ammirata icona del Risorgimento”. Poi, fu semplicemente una persona che, negli ultimi anni della sua vita, visse un’esistenza ben diversa da quella immaginata, peraltro aggravata da evidenti difficoltà economiche. Eppure, anche qui non smise di essere quello che era e, forse, fu proprio in questi ultimi anni – i più difficili – che crebbero, ancorchè inconfessati, il rispetto e l’ammirazione per lei.
«Un profondo silenzio documentario avvolge il periodo della vita che Rosalie trascorse a Roma tra l’annullamento del suo matrimonio, nel 1878, e la morte, avvenuta il 10 Novembre del 1904. In quell’occasione i giornali italiani e stranieri tornarono a parlare diffusamente dell’Eroina dei Mille, ricostruendo la sua attività cospirativa e la sua presenza tra i mille. Ma anche, indirettamente, dando qualche notizia su quegli anni di silenzio: della coerenza, fino alla fine, con i suoi ideali politici; dello stuolo di amiche e ammiratrici che le erano state accanto e ne avevano assorbito gli insegnamenti; della stima e l’affetto di ex compagni d’armi, nobili, popolani, da cui era circondata e sostenuta.Una vita, lontana dai riflettori; ma lontana anche dalle falsità che su di lei ancora adesso girano in rete: l’immagine di una barbona mezza ubriaca che, con le medaglie appuntate sul petto si aggira, barcollante e pazza, per le strade di Roma…».
Lei ha insegnato per tanti anni storia. È giusto, secondo lei, anche (o forse soprattutto) dopo avere scoperto la figura di Rosalia Montmasson, tornare a chiedersi perché i programmi ministeriali non danno spazio a figure ed eventi così importanti per la nostra storia?
«La storia la scrivono sempre i vincitori, che non hanno nessun interesse a mostrare i vinti e le loro ragioni. Non credo che a chi oggi gestisce il potere, interessi molto recuperare la figura di Rosalie, e, insieme a lei, la memoria di un “altro” Risorgimento, che in Sicilia, e nell’Italia del Sud, partì dal basso, con la formazione dell’esercito meridionale – 40.000 volontari – mobilitati soprattutto dalla promessa di una rivoluzione sociale e istituzionale, di stampo mazziniano. Un’immagine molto diversa rispetto alla rassicurante e retorica iconografia tradizionale del Risorgimento: Cavour, Mazzini, Garibaldi, armoniosamente l’uno accanto all’alto; e dietro loro, quasi a unirne intenzioni e azioni, Vittorio Emanuele II. Che invece erano tutti in totale disaccordo politico tra loro. Non viene mai ricordato, per esempio, che nel 1872, undici anni dopo la proclamazione del regno d’italia, Mazzini morì da clandestino e sotto falso nome nell’Italia Unita. Mi piace perciò ricordare una citazione di J. Le Goff: “Impadronirsi della memoria e dell’oblio è una delle massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche”».