Contrapposizione, complicità e amicizia legano i principali personaggi di “Pactum salis” di Olivier Bourdeaut, che rispetto al fortunatissimo esordio cambia registro, è più audace nel linguaggio, e oscilla fra l’ironico e il thriller
L’incontro improbabile fra due totali opposti, che si muovono in luoghi, ambienti lavorativi e passaggi mentali che il francese Olivier Bourdeaut ha frequentato prima di diventare un romanziere di successo. Forse il suo secondo libro non è magico come Aspettando Bonjangles, esploso come fenomeno, fra traduzioni e vari tipi di adattamento, ma non manca d’essere profondo, perfino toccante, raccontando una vicenda singolare, fatta di contrapposizione, complicità, amicizia. Iniziata quando Jean, che gestisce una salina, si accorge che parte del suo sale è stato rovinato da uno sconosciuto, Michel, che non ha trovato di meglio che urinarci sopra.
Il contemplativo e il materialista
Stilisticamente non inferiore al precedente, Pactum Salis (250 pagine, 17 euro) era stato iniziato prima del bestseller e completato dopo. Bourdeaut, tradotto da Roberto Boi, ingrana il ritmo giusto non immediatamente e, lungo il volume, corteggia qualche luogo comune, correndo il rischio, evitato, di sguazzarci. Cambia registro, è più audace nel linguaggio, cerca con più convinzione e trova lo spaccato ludico, ironico, perfino improbabile, di una vicenda che contrappone il parigino Jean, figlio di intellettuali, convinto sostenitore di una vita quasi monastica, a contatto con la natura, nella sua salina di Guérande (panorama idilliaco che in qualche modo diventa protagonista), scollegato da ogni forma di tecnologia, e il provinciale Michel, originario della regione di Nantes, agente immobiliare trasformato dalla capitale, proprietario di una Porsche, arrogante e materialista, che si concede una vacanza dopo lunghi anni di lavoro senza tregua, in cui ha accumulato denaro, in barba a un’infanzia di stenti. Dopo una gioventù di eccessi, per trovare una dimensione ideale Jean ha invece preferito un lavoro faticoso e non particolarmente redditizio. Si annusano, si influenzano a vicenda, con la propria presenza mettono in discussione l’esistenza l’uno dell’altro.
Pochi echi dell’esordio, no al facile bis
In realtà Jean e Michel hanno anche qualche elemento in comune: sono soli, hanno desideri e sogni ben celati nel proprio cuore e non disdegnano l’alcol. In qualche dialogo e in certe eccentricità si possono ravvisare echi del suo esordio, ma Bourdeaut non si fa irretire dal facile bis e vira quasi verso il thriller nella parte finale del nuovo romanzo, fra atmosfere cupe (c’è di mezzo un corpo senza vita) e un investigatore sui generis, Jules Kedic, specializzato nei furti di biciclette. Paradossalmente l’enorme fortuna del debutto finisce per non giovare al secondo titolo di Bourdeaut, caricato di aspettative, eppure a suo modo sorprendente e originale, decisamente meno incantato (stavolta non si intravedono echi di Fitzgerald…) e più ruvido, con meno fantasia. E non solo perché l’autore, in passato, ha lavorato sia come agente immobiliare che, più brevemente, in una salina.
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