Il ritrovamento di alcune compromettenti tele paterne da parte di un’amica è l’occasione per dare una svolta a Clementina e ai suoi strampalati sodali, protagonisti di “Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore” della debuttante Carla Fiorentino. Qualche periodo frenetico, al limite dell’isterico, non mina la felice leggerezza e il ritmo incalzante che caratterizzano la narrazione
«Carpire la vita segreta degli uccelli dei cucù» è la curiosità che attanaglia da sempre Clementina, protagonista e voce narrante di Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore (185 pagine, 15 euro) dell’esordiente Carla Fiorentino, edizioni Fandango Libri.
Se anche voi siete rosi dal dubbio su cosa diavolo facciano «i cucù durante tutti quei minuti e secondi che separano un’ora dall’altra», risparmiatevi la bega di leggerlo, perché – mi assumo la responsabilità dello spoiler – non sarà questo libro a sciogliervi il nodo.
Uno scottante segreto
Piuttosto sono altre le ragioni per cui ve ne suggerisco la lettura. Innanzitutto l’originalità della trama: Clementina, sfegatatamente romana, un lavoro di «quarantotto ore settimanali», alla vigilia del trentesimo compleanno, riceve una concitata telefonata dall’amica Clara, da poco rimasta orfana del padre. Più che farle i canonici auguri, Clara vuole alleggerirsi di uno scottante segreto e chiederle aiuto. Dall’eredità paterna è spuntata una collezione di vagine dipinte dal de cuius che è urgente far sparire, onde evitare imbarazzi alla famiglia. La notizia innesca il più ardimentoso di quei processi immaginifici di cui la nostra protagonista è campionessa mondiale.
Il coro della protagonista
Clementina pensa da tempo che “qualcosa di fondamentale” sia necessario per dare un senso alla sua vita e a quella dei quattro sodali che le fanno da famiglia. Il ritrovamento delle pittoresche tele è l’occasione per svoltare, portando a compimento lo strampalato progetto che la sua mente febbrile ha partorito: vendere i quadri all’insaputa dell’amica e utilizzare il ricavato per la palingenetica rifondazione delle loro esistenze.
Niente male anche le sottotrame. Quattro amici, Clara, Flavia, Porno e Pusher, più l’outsider Elettra in fuorisede estero, fanno da coro alla voce della protagonista. Le loro vite non sono rose e fiori. Il rapporto che li affratella è un misto bipolare di amore e odio, premura e sopportazione, come nelle migliori tradizioni di legami affettuosi che uniscono e strangolano le famiglie.
Registro ironico, concetti profondi
Altro punto a favore del tête-à-tête che dovreste concedervi con Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore è il taglio della narrazione. Uno scrittore bravo può affrontare ogni argomento, compreso vagine e masturbazioni, paranoie e elucubrazioni. Può inabissare le sue creature con devastanti naufragi come riportarle a galla con esaltanti vittorie, può precipitarle in una cupa depressione come ubriacarle di frenetica eccitazione, chiuderle in rancorosi silenzi come scioglierle in soliloqui e sproloqui infiniti. Tutto a patto di affidarsi ad un registro fluido, leggero il giusto, ironico quanto basta, che nulla sottragga alla profondità dei concetti e allo spessore dei soggetti. Tutto purché trovi un ritmo intrigante e originale, come nel caso della Fiorentino.
Come un piacevole ponentino
Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore è fin dal primo capitolo travolgente. Irrompe nelle stanze della narrativa contemporanea, al livello minimo di ossigenazione per i troppi respiri stantii che le saturano, con il brio di un piacevole ponentino. Le storie, specialmente quando al centro ci sono vite scomposte, dalle quali si traggono riflessioni di respiro generazionale, si possono affossare anche sotto badilate di seriosità. Apprezzabile che la voce di Clementina sia cadenzata, all’opposto, su una metrica brillante.
Che cosa fanno i cucù nelle mezz’ore è un romanzo eccentrico, che fa simpatia per lo stile incalzante, fresco e contemporaneo. A volerci trovare difetti, qualche periodo, qua e là, risulta un po’ troppo frenetico, al limite dell’isterico, ma sono attimi di affanno, tutto sommato, veniali. Recentemente, in un talent show, il giudice ha promosso una delle partecipanti perché, nonostante la “voce sporca”, l’intonazione era ottima e l’esibizione credibile. La perfezione in campo artistico non sempre giova. Il filino di sporco che si insinua nella voce di Carla Fiorentino va tenuto come valore aggiunto e, nell’economia di questo consiglio di lettura, è da considerarsi decisamente un argomentazione a favore.
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