“Sekù non ha paura” è un romanzo – il viaggio dal Mali a Milano di un migrante inguaribile ottimista – che sfida ad abbattere quelle categorie mentali insinuate a causa di pregiudizi, luoghi comuni, dimenticando che al di là delle frontiere, c’è solo l’uomo
Sull’onda di questi ultimi anni in cui si parla di immigrazione e migranti, di sbarchi e di accoglienza, talvolta più per necessità che per morale, Paolo Di Stefano racconta una storia, una favola moderna dal sapore dolce e amaro, di una tenerezza sincera. Da quella attualità terribile di cui racconta, l’autore lascia emergere la delicatezza di un sentimento, quello di un giovane africano costretto a vivere mille vite in una sola; racconta di viaggi e incontri, di un destino segnato da forze più grandi. Ma “Sekù non ha paura”, come recita il titolo del suo romanzo (249 pagine, 15 euro) edito da Solferino.
Come un diario in prima persona
Quella di Paolo Di Stefano è la storia di Sekù che fugge dal suo paese, da Bamako, capitale del Mali, e porta, lungo il suo percorso verso l’Italia, ricordi, timori e speranze, ma soprattutto gli insegnamenti della mamma, maman, che nella lingua bàmbara si dice ià. Sekù si racconta in prima persona, si rivolge a chi sta leggendo. Come un diario di bordo, delle annotazioni durante un viaggio che sembra lungo una vita intera, invece la vita deve ancora iniziare. Era lunedì e faceva caldo, racconta Sekù, così pagando settemila cifà ha preso il bus. Tre giorni e mille chilometri, con tanto di deserto in mezzo e tanta paura perché c’è il Daesh nel suo paese. Ma Sekù rimane allegro.
La cadenza buffa, un linguaggio pulito
La lettura induce ad adottare quella cadenza, un po’ buffa, di chi è impegnato nel tentativo di parlare una lingua che non è la sua, con qualche traccia della madrelingua che si insinua nelle frasi. Non è una scrittura torbida, non è difficile. Al contrario. La scrittura di Paolo Di Stefano in Sekù non ha paura è un invito all’empatia. Un linguaggio pulito, semplice, liberato da ogni contorsione grammaticale e filosofica, per arrivare al succo, al cuore del racconto. Il libro è un miraggio emotivo, la speranza che nell’intreccio della storia il lettore possa scoprirsi emotivamente coinvolto, al di là delle frontiere, delle definizioni, degli stereotipi che fanno del “migrante” una semplice e vuota categoria.
Umani e fragili allo stesso modo, tutti
Nel suo lungo viaggio dal Mali a Milano, in cui scopre che il male si insidia ovunque, il giovane Sekù rimane un inguaribile ottimista, “normale” tra quelli che vengono considerati diversi; perché l’umanità è una sola, a cambiare sono solo le storie, gli incontri, le scelte. E proprio su alcuni incontri, che cambieranno il corso del suo destino, Sekù fonda la sua nuova esistenza. E in effetti, chi l’avrebbe mai detto che il suo destino sarebbero state le polpette al sugo… Sekù non ha paura è una storia vera, come ce ne sono tante, tante di cui si racconta solo la superficie, senza rendersi conto che dietro quel tanto parlare di frontiere, politiche, allarmismi e luoghi comuni, c’è l’uomo. L’uomo con le sue fragilità, con le sue emozioni. La vera sfida è scoprire che si è umani e fragili allo stesso modo, tutti.
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