L’esordio con “Il vizio di smettere”, per Michele Orti Manara, e l’idea che debba ancora guadagnarsi il “titolo” di scrittore: «È difficile, nelle mie storie cupe, stabilire la proporzione tra realtà e invenzione. Scrivere è qualcosa di alienante». Ha iniziato a scrivere due romanzi ma «mi vengono tante idee per dei racconti e li scrivo con una facilità e una leggerezza che mi sorprendono»
Si presenta come un “sommelier d’ansie” e i suoi racconti, sedici storie di inquietudine condite con sana ironia, sono un ottimo assaggio degli agguati che la vita ci tende. Michele Orti Manara (nella foto di Dario Nicoletti) torna alla sua città natale e presenta la raccolta di racconti Il vizio di smettere (qui la nostra recensione) pubblicato da Racconti edizioni, alla libreria Pagina Dodici di Verona. Un’occasione speciale per l’autore, che parla del libro di fronte a parenti e amici. Matteo Scandolin, curatore della rivista letteraria “Inutile”, che ha ospitato tra le sue pubblicazioni un racconto di Orti Manara, ha presentato l’amico, lo scrittore e il suo percorso “artigianale” di scrittura.
Orti Manara, è felice del libro? Felice di poter dire “sono uno scrittore”?
«Sono molto felice del libro, anche da un punto vista estetico. Lavorando in editoria si diventa maniacali e va a finire che rimani ad osservare la carta, il lavoro grafico e la copertina, cose a cui un lettore in genere non presta molta attenzione. Sono molto soddisfatto di questo libro anche in quanto oggetto. Riguardo al definirmi uno scrittore confesso che ho qualche resistenza. Non credo che basti un libro per definirsi scrittore. Posso dire che ho scritto questi racconti che vedete nella raccolta e che ho impiegato diversi anni a comporre, ma il titolo di scrittore va guadagnato nel tempo grazie ad altre pubblicazioni. Provo ancora un po’ di straniamento quando alle presentazioni si rivolgono a me chiamandomi“scrittore”».
Da quanto ha intrapreso questo percorso di scrittura?
«Una presentazione tipo vorrebbe che lo scrittore dicesse “prima ancora di camminare già avevo scritto qualcosa”. Nel mio caso non è assolutamente vero: ho iniziato tardi a scrivere, solo dopo aver terminato l’Università. Scrivo quindi da circa 13-14 anni, ma nei primi dieci anni ho composto testi trascurabili. Per me la scrittura è un lavoro molto artigianale, un percorso pieno di sbagli e di tentativi dove non esiste un’ispirazione improvvisa che produce il grande capolavoro. I racconti che potete leggere in questa raccolta sono stati scritti negli ultimi 4-5 anni, il più vecchio risale al 2013. Quando Matteo Scandolin ha pubblicato un mio racconto sulla sua rivista non avevo ancora pubblicato nulla. Credo che le riviste siano una palestra insostituibile e un’opportunità preziosa per ricevere giudizi sinceri da parte di lettori che non hanno alcuna remora nel valutare i miei lavori. Continuo a leggere moltissime riviste perché lo trovo molto stimolante, mi piace leggere anche decine di racconti di persone diverse e osservare il percorso di crescita degli scrittori e il cambiamento del loro stile».
Da dove nasce questa raccolta?
«La gestazione di questi racconti è stata lunga, ma non sono nati per diventare una raccolta. Avevo molti racconti, più di quelli che potete leggere in questo libro perché alcuni non sono piaciuti agli editor o erano troppo corti. E poi è arrivato il momento di metterli in fila perché la raccolta di racconti deve trovare un ordine di presentazione a differenza di un romanzo. Il primo della lista deve essere molto bello perché lo scrittore deve coinvolgere i lettori fin da subito. Con gli editor che hanno lavorato al mio libro ci siamo accorti che utilizzando l’ordine che poi è stato scelto come definitivo si intravedeva una progressione anagrafica dei personaggi: il primo racconto ha al centro della storia un neonato, poi un adolescente, poi si passa agli anni dell’Università e della maturità per finire con un racconto che parla di una signora anziana. Temevo che si percepisse che questi
racconti erano nati come racconti sparsi e senza una struttura, invece noto che molti lettori intravedono un filo conduttore e un punto di contatto molto forte tra i racconti, anche se in modi diversi. Chi li legge coglie qualcosa di specifico che li accomuna ed è vero che anche se gli ho scritti a diversi anni di distanza qualcosa di simile ce l’hanno, anche se non ho mai inserito dei rimandi. Questo filo conduttore puoi chiamarlo stile oppure semplicemente… le mie ossessioni!»
Ci sono state delle riscritture di questi racconti?
«Nessun racconto ha subito una riscrittura vera e propria ma per alcuni la fase di editing è stata più intensa, non dal punto di vista stilistico ma dal punto di vista della struttura. Ogni racconto è narrato da una voce precisa, una voce che per me è adatta a quella singola storia: c’è infatti un legame molto forte tra come una storia viene raccontata e cosa viene raccontato. Emanuele Giammarco, l’editor che ha seguito il mio libro, non ha mai imposto delle modifiche e non ha mai riscritto i miei racconti; invece mi ha aiutato a concepire i miei racconti come un grosso puzzle dove i pezzi potevano essere rimescolati fino a trovare un ordine diverso e magari più incline a ciò che volevo comunicare. In alcuni racconti abbiamo lavorato molto sulla psicologia dei personaggi, quasi a livello psicoanalitico. In un racconto è stato aggiunto un punto di vista in prima persona oltre alla narrazione in terza persona».
Questi racconti sono tratti dalla sua vita? Sono cose che ha visto succedere personalmente oppure che le hanno raccontato?
«Dipende da che cosa intendiamo per autobiografia: se per autobiografia intendiamo cose successe a me e riportate con esattezza, allora rispondo che solamente un racconto presenta queste caratteristiche. Per me invece all’interno dell’autobiografia possono rientrare anche tutte le storie delle persone che conosco e le storie che loro stessi mi raccontano e che a loro volta hanno sentito da altri. Nella maggioranza dei casi l’idea da cui parte un racconto è un particolare che mi colpisce direttamente e che poi si espande fino a comprendere anche elementi inventati. È difficile stabilire la proporzione tra realtà e invenzione. Scrivere è qualcosa di alienante e molto spesso quando finisco di scrivere mi domando “Tutto questo è vero? Quanto di quello che ho scritto è vero?”. Nella scrittura infatti si incontrano anche componenti irrazionali e queste si collegano alla
capacità dello scrittore di controllare i propri personaggi. Faulkner diceva di seguire i propri personaggi e di annotare semplicemente le loro azioni, quasi fossero autonomi; Nabokov invece si considerava un tiranno e il Dio dei propri mondi narrativi. Sono due modi diversi di vedere la scrittura e tra queste due fazioni io scelgo la via di mezzo: quello che scrivo è vero e non è vero allo stesso tempo».
Leggendo le recensioni del libro oppure parlando alle presentazioni qualche lettore le ha fatto notare aspetti del tuo stile o delle sue storie di cui non ti eri ancora reso conto?
«Non è successo ancora nulla di sconvolgente, i lettori non mi hanno riferito cose che non mi aspettavo e nessuno di loro ha travisato quello che ho scritto. Ho notato invece che diverso è il tono con cui vengono percepiti i miei racconti. Se mi chiedessero di descrivere i miei racconti credo che li definirei cupi perché i personaggi sono ritratti in momenti di difficoltà. Molti lettori invece riconoscono un tono allegro e ironico che presenta gradazioni differenti e che a volte prende il sopravvento sugli eventi narrati. Nei libri che mi piacciono c’è sempre un miscuglio di cose molto serie raccontate con tono leggero e ironico. E quello che scrivi ovviamente è molto influenzato da quello che leggi, e che vorresti leggere. Un libro che mi piace molto è “Mattatoio n. 5” di Vonnegut: l’autore parla del bombardamento di Dresda eppure riporta questo avvenimento tragico con empatia e uno sguardo divertente».
Che cosa ci riserva Michele Orti Manara per il futuro?
«Ho incominciato a scrivere due romanzi, un’idea geniale quando si fa fatica a scriverne anche uno solo. Da quando è uscito questo libro, ovvero da circa 6 mesi, ho scritto poche pagine di questi romanzi ma nel frattempo ho scritto circa 70-80 pagine di racconti, quasi un racconto al mese. Un secondo libro di racconti potrebbe già essere a metà. Nella mia testa mi dico che quando mi chiedono “quando arriva il romanzo?” forse dovrei rispondere che voglio scrivere racconti e basta. Magari forse riuscirò a scrivere un romanzo, ma in questo periodo mi vengono tante idee per dei racconti e li scrivo con una facilità e una leggerezza che mi sorprendono. Questo mi porta a pensare che forse sono adatto a scrivere racconti».