Laudadio, ripartire dai margini e riprendersi il destino

Una melodia dolce e vagamente malinconica su un ritmo che ha il sapore dell’improvvisazione. Ecco cosa è “Preludio a un bacio” di Tony Laudadio. Il protagonista è Emanuele, un senzatetto, sassofonista fallito, che prova a risalire la china dopo un’aggressione

Immaginate la scena: decine di libri. Una copertina rubino vi incuriosisce. La vaga promessa del titolo, Preludio a un bacio (217 pagine, 17 euro), vi ispira. L’indice su cui buttate l’occhio, una vera e propria scaletta di 15 brani, uno per capitolo, suona come un imperativo all’ascolto. Una frase tira l’altra e in men che non si dica Emanuele, il senzatetto dell’ultimo romanzo di Tony Laudadio, pubblicato da NN editore, è già un vecchio amico. Prevedete come finirà: rincaserete insieme e voi passerete l’intera notte ad ascoltarlo, pendendo dal suo racconto.

La semplicità nell’imbastire una trama

Tony Laudadio nell’ambito delle due carriere – è attore e musicista – dà prova costante di possedere le credenziali per “tenere” dal palco il pubblico. Con questo quarto romanzo, il secondo pubblicato dalla casa editrice milanese, conferma che non scarseggia a competenze neppure nei panni di scrittore.
«Sto qui e suono, come ho sempre fatto, e continuo a disquisire con me stesso.
Poi, all’improvviso, un dolore forte, fortissimo, alla testa.
Subito dopo, il nulla».
Sa bene, ad esempio, Laudadio che calando il sipario su una simile battuta, al termine dell’intro, otterrà l’effetto di legare il lettore, curioso ormai solo di procedere oltre quel nulla, alla poltrona.
Sa anche che la semplicità nell’imbastire una trama può essere la chiave per conferirle una insospettabile forza; che minimale è diverso da misero e volendo puntare il riflettore sulle emozioni, in scena ci vanno pochi elementi.

Un monologo che armonizza tragico e comico

Sa, infine, che un monologo lungo più di duecento pagine perché funzioni deve giocare armonizzando le note tragiche, comiche e ironiche della vita in modo da tradurre la storia in una melodia dolce e vagamente malinconica su un ritmo, come nel jazz, che abbia il sapore dell’improvvisazione.
Il suo Emanuele, voce narrante, è un barbone, sassofonista fallito, apaticamente risucchiato nelle sabbie mobili di una esistenza ai margini. Dopo essere finito in ospedale per un’aggressione, grazie all’affetto e allo sprone di Maria, una giovane amica che lo ospita durante la convalescenza, riprende in mano il proprio destino e tenta di risalire la china.
“Ed eccomi qua. I miracoli accadono: ritrovare un antico amore, avere una casa, un impegno professionale. Stasera suonerò davanti a un pubblico pagante, cenerò bene. Tutto si sta ricomponendo”.

La sorella stronza della musica?

Cos’altro, oltre al sassofono, Laudadio avrà prestato di sé a Emanuele? La sua Caserta, con «la linea retta del corso(…) che porta dritta al monumento ai caduti, un arco in marmo bianco»? Il sarcasmo e il disincanto? La leggerezza, nel senso calviniano, diversa dalla superficialità? Il modo di pensare e vivere il rapporto con un figlio? La socievolezza di chi riscopre l’altro? Cosa invece avrà inventato di sana pianta, cucito su misura per lui?
Amene curiosità di un lettore che si sente, tuttavia, di contestare a Tony Laudadio l’idea che «La parola è la sorella stronza della musica» che «ti convince a fidarti di lei mentre parli, e dopo ti accorgi di aver fatto un disastro». Se pure fosse vero, Preludio a un bacio rappresenta un’eccezione. Non contiene una sola frase che abbia tradito la creatività dell’autore.

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