Una puntuale e complessa ricerca su uno dei più amati personaggi della narrativa e della tv: è “Storia di Montalbano” del semiologo Gianfranco Marrone, che analizza romanzi e fiction che hanno come protagonista il commissario creato da Andrea Camilleri
«Sino a che punto il commissario Montalbano può essere considerato un personaggio televisivo circoscritto in una fiction seriale?»: è questa, una delle domande cruciali alle quali il semiologo palermitano Gianfranco Marrone fornisce una risposta, nel suo interessantissimo e ricco saggio intitolato Storia di Montalbano (304 pagine, 26 euro), edizioni Museo Pasqualino, raccolta di scritti dedicati a una delle figure più amate degli ultimi anni, da lettori e spettatori televisivi, che l’autore pone al centro di una puntuale (e talvolta, complessa) ricerca, capace di accompagnare per mano il lettore ben oltre il conosciuto e il già visto (o letto).
Non ha bisogno di presentazioni
Montalbano, inutile dirlo, non ha bisogno certo di presentazioni, così come non ne hanno bisogno i «suoi» Mimì, Fazio e Catarella e nemmeno Livia, «la Fidanzata, per giunta Eterna», che Camilleri ha voluto unica non siciliana, costretta spesso a restare strammata per gli impliciti che non sa cogliere e a stizzirsi per l’ennesima frase in dialetto del suo amato, che forse non la sposerà mai.
Il gruppo – al quale va aggiunta a pieno titolo Adelina, l’altra donna veramente importante per il commissario – oltre a godere di una indubbia centralità fornisce allo studioso la chiave per risalire alla vera identità del Nostro, perché, annota Marrone «la figura di Montalbano non può essere ricostruita in toto se non a partire dalle sue relazioni con gli altri attori della serie».
I quali, nel frattempo, sono diventati talmente famosi, da riuscire persino ad attrarre, con le loro gesta, numerosi turisti, giunti da ogni latitudine in Sicilia, per visitare punta Secca e ogni altro luogo immortalato nella fiction.
La fase numero due delle indagini
Forte dell’indubbia notorietà dei fatti e degli uomini di Vigata, il lavoro di Gianfranco Marrone salta, opportunamente, a piè pari ogni superflua conferma, per passare direttamente a quella che, per rifarci al protagonista, potremmo senz’altro definire la fase numero due delle indagini. L’autore agisce in netta controtendenza e lavora alacremente, più che per trovare – come i turisti – probabili agganci tra le avventure scritte da Camilleri e il mondo reale, per capire se le prime siano in grado di intervenire sul secondo, «formandolo e trasformandolo». Per farlo, si affida a una accurata analisi di tutte le forze in campo, compulsando ogni tratto degli episodi che, non so quante volte, abbiamo letto e riletto, visto e rivisto.
Il commissario che capisce
E tutto parte ovviamente da lui ed arriva a lui, il commissario di polizia che «capisce» e che sin dalla sua prima apparizione viene presentato dal suo creatore come il bravo funzionario, certo, ma anche come l’uomo che «sa discernere le situazioni, valutare uomini e cose, agire adeguatamente».
Non è infatti un caso – ricorda l’autore – che proprio al suo esordio riesca, persino senza saperlo, a convincere due tizi che mai si sarebbero sognati di rivolgersi alle forze dell’ordine, a fare il loro dovere, denunciando il rinvenimento di un cadavere.
Con questo elogio alla sua «intelligenza particolare» Camilleri alza il sipario per introdurci Salvo Montalbano, un protagonista indiscusso e quasi mai solo, per il quale Marrone – che nel suo libro resterà al fianco del commissario fino a L’altro capo del filo – si spinge a ipotizzare il ruolo di un novello Orlando, in un nuovo ciclo, tutto siciliano e, come il primo, di un successo senza tramonto.
Orlando-Montalbano e Rinaldo-Mimì, dunque? Perché no? La storia, è noto, spesso si ripete e quasi mai a caso. Basta che non ci sia una nuova Roncisvalle…