Lo scrittore basco in Sicilia, dove ritirerà il premio intitolato a Tomasi di Lampedusa. Il successo travolgente del suo romanzo “Patria” non l’ha cambiato: “Lo vivo serenamente. In gioventù ho detto no alla propaganda dei terroristi, non hanno fatto lo stesso alcuni miei coetanei. Non potevo aderire a una protesta che comportava sequestri, morti e devastazioni”
«Serenamente», così, Fernando Aramburu risponde a chi gli chiede come sta vivendo l’incredibile successo di Patria (qui la nostra recensione) il suo romanzo uscito in Italia per i tipi di Guanda, che gli è valso in tutto il mondo le lodi sperticate di prestigiose firme e un consenso di pubblico improvviso ed eccezionale, soprattutto, ma non solo, nel suo Paese. Un momento magico, che lo scrittore ha deciso di assaporare per quello che è: un momento (punto).
Aramburu è in questi giorni a Palermo per ritirare il premio letterario internazionale “Giuseppe Tomasi di Lampedusa”, già attribuito in passato ad autori come Pamuk, Carrère, Magris e quel Mario Vargas Llosa che proprio di Patria ha scritto «È molto tempo che non leggevo un romanzo così persuasivo, commovente e tanto brillantemente concepito». Lo abbiamo incontrato ieri, in una giornata torrida come non mai, a palazzo Lanza Tomasi, a Palermo, dove il presidente della giuria, Gioacchino Lanza Tomasi, ha illustrato alla stampa le motivazioni del premio, parlando di una «narrazione aspra ed incantevole, con la quale l’autore narra la singolare identità della cultura basca, unica a parlare la sola lingua anteriore alla migrazione dorica in Europa».
Il romanzo e la vicenda basca
Patria affronta la spinosa questione basca, dando voce a due famiglie di un paesino nei pressi di San Sebastián, le quali, dapprima molto unite, si troveranno, colpite negli affetti più cari, in conflitto tra loro, proprio a causa del terrorismo. Il libro va letto con impegno e attenzione, perché per il suo romanzo l’autore ha scelto una struttura non facile, ma di sicuro coinvolgente – e il successo di pubblico, di certo, lo conferma – con i personaggi e i tempi che si presentano e si susseguono anche in modo non consueto. Tanti sono, poi, i riferimenti che spingono certamente il lettore più curioso a documentarsi di più sulla storia spagnola (basca) di quegli anni.
Al centro della vicenda c’è di sicuro la forza aggregante della famiglia, contrapposta a quella distruttrice del terrorismo. Dunque, la gente comune con i suoi affetti, le sue amicizie e i suoi sentimenti, che soffre e subisce la presenza immanente e ingombrante (eufemismo spinto oltre misura) dell’Euskadi Ta Askatasuna, l’organizzazione armata che con oltre 800 vittime al suo attivo, riuscì persino a farsi attribuire attentati che non aveva commesso (leggasi, stazione di Atocha, Madrid, 2004).
Le sirene del terrorismo
«Da giovane avrei potuto dire sì alla propaganda dell’Eta, così come fecero tanti giovani, alcuni dei quali studenti come me – commenta oggi Aramburu – ma non lo feci perché, seppur non credente, appartengo a una famiglia cattolica e perché non potevo, e non posso, prestare il mio consenso ad un’azione, una protesta che comporta sequestri, morti, devastazione». Così, lo scrittore di San Sebastián ricorda che in quegli anni di sangue, non pochi furono i giovani che si lasciarono attrarre dalla lotta armata, contribuendo alla continua lacerazione di intere comunità. Una ferita dal solco profondo, che affligge tutta la storia narrata in Patria e che certamente offre al lettore numerosi spunti di riflessione, oggi che altre forme di cieca violenza si delineano in modo sempre più chiaro.
Il cane di Aramburu
A chi gli chiede cosa ne pensa delle “uscite” xenofobe sempre più ricorrenti (facciamo quotidiane?), anche da parte di chi, per il posto che occupa, dovrebbe invece offrire chiari segnali di tolleranza, Aramburu risponde che «bisognerebbe adottare una efficace e corale politica di apertura, purché in grado di offrire serie e concrete prospettive». Per quanto lo riguarda – lo scrittore da anni vive in Germania (per amore e non in esilio) – sorride ricordando che talvolta viene guardato con sospetto a causa del suo aspetto non certamente nordico. A meno che, precisa, non esca con il suo cane, che evidentemente dà ampie garanzie di sicurezza.
Il premio
Fernando Aramburu riceverà il premio “Giuseppe Tomasi di Lampedusa” nel corso della cerimonia di consegna prevista domani 4 a Santa Margherita Belice, a partire dalle ore 21. «Ho visto la lista degli autori che hanno ricevuto il premio prima di me e visto il loro valore, spero che la giuria non si penta di avermi scelto e mi cancelli” ha commentato con la sua amabile ed elegante ironia. Non lo faranno di certo…