Intervista all’autore di “Uomini e Cani”, romanzo d’esordio che torna per Adelphi, undici anni dopo la prima edizione,con Isbn: «Lo scrittore è un osservatore. Il lettore ha una responsabilità, è parte della storia. Rimettere mano al debutto? Dà molta soddisfazione» Una storia tra bellezza e malaffare, in una “Contea” pugliese: «I miei libri hanno la pretesa di diventare riflessioni sul male, sono storie corali in cui si cerca di riflettere sulla violenza servendosi dell’esagerazione»
È uscita in una elegante veste Adelphi la nuova edizione dell’esordio di Omar Di Monopoli, Uomini e cani (192 pagine, 16 euro). Un romanzo datato 2007 che, undici anni dopo aver inaugurato una strada, quella del southern gothic in salsa mediterranea, e aver affermato la voce particolarissima del suo autore, ritorna sulla scena in un’edizione rivisitata e arricchita da un lavoro accorto sulla lingua e il dialetto.
«I motivi di questa scelta sono numerosi – spiega l’autore – l’approdo in una casa editrice di prestigio come Adelphi mi ha permesso di lavorare con editor grazie ai quali ho potuto rivedere costrutti un po’ imperfetti di un’edizione che, per quanto già dotata di una lingua tornita, era ancora un po’ acerba. È stato un lavoro capillare, ho cercato di rivoltare come un guanto il romanzo mantenendone al contempo intatto il disordine, sua parte integrante».
Una crescita che significa anche maturazione personale dell’autore, affermazione della sua voce: «Undici anni dopo Uomini e cani ho una padronanza diversa degli strumenti narrativi e della mia valigia di scrittore – prosegue Di Monopoli – la possibilità di rimettere mano al libro è stata una manna per me, sono andato chirurgicamente a rivedere alcune figure retoriche, gli avverbi, la calibratura di alcuni aggettivi. E poi c’è stato il lavoro sul dialetto, che è una componente importante e che nella prima edizione era costruito per fare rumore, mentre adesso si è adattato a uno standard qualitativo alto e al mio lavoro, che è cresciuto».
«Lo stesso romanzo, un romanzo diverso»
Undici anni per affermare una voce, diversi romanzi e, oggi, il ritorno a un esordio che, ammantato della sacralità di ogni iniziazione, sembrava intoccabile: «Per uno scrittore il romanzo di esordio è sempre il romanzo, qualcosa che finisce per essere il collettore di altro – riflette ancora sul tema l’autore – invece ho scoperto che non solo è possibile rimetterci mano, ma che dà anche molta soddisfazione. Senza pericolo di sembrare ruffiano posso dire che è un romanzo diverso, ma al tempo stesso è il medesimo romanzo con la stessa forza prorompente che aveva l’originale».
Background grafico e visivo alle spalle da aspirante fumettista, Di Monopoli non sfugge a un’attitudine al disegno nel dare pennellate decise sulla pagina per restituire suggestioni molto vivide, quasi si trattasse di sceneggiature cinematografiche. Ma c’è di più, lo conferma lui stesso: «C’è un surplus letterario rispetto alla storia, che è quel che fa la differenza, anche se sono molto attento al ritmo. C’è una ricerca letteraria: le mie sono storie con uno stile che è stato definito barocco, ma nell’accezione tipica del southern gothic, un genere di matrice anglosassone cui mi rifaccio per l’aspetto espressionistico, per il modo di calcare sui neri e i bianchi. L’eccesso iperbolico, anche stilistico, fa parte della mia voce, penso che le mie storie non potessero essere raccontate che così, con questa lingua».
Una lingua lavoratissima, una realtà di bassezze
Contrasti forti, persino violenti, come quelli creati nella frizione tra una lingua lavoratissima e i contenuti spesso squallidi, tra una voce letteraria e una realtà fatta di bassezze. «La sfida è proprio la giustapposizione dei registri – spiega Omar Di Monopoli – quello aulico e quasi lirico che fa da contraltare a una lingua molto terra terra, il dialetto dei protagonisti bifolchi delle mie storie. È una lingua non sempre accessibile, ma è un disegno voluto, l’intento di creare una voce avvolgente con un modello di riferimento sulla scorta del quale non è necessario che il lettore comprenda tutto. Mi fa piacere quando i lettori mi dicono che all’inizio è stato complicato entrare in questa lingua, ma poi non ne hanno più potuto fare a meno».
Riferimenti solidi alle spalle, Cormac McCarthy, William Faulkner e tanti italiani che hanno lavorato con la lingua come strumento vivo: «I maestri del southern gothic americano sono stati suggestioni importanti – conferma l’autore – scrittori così grandi che continuano a influenzare generazioni. È interessante che io abbia dovuto attraversare l’oceano incontrando il sud degli Stati Uniti per fare i conti con le mie radici: attraverso Faulkner ho riscoperto autori che la scuola mi aveva tenuto distante, ho ripreso in mano Verga, Capuana, i veristi, ma anche autori contemporanei come Bufalino, della mia terra e del nord, come Fenoglio. Attraverso modelli di riferimento americani mi sono rimpossessato di modelli italiani: ancora oggi mi stupisco della grandezza di Landolfi, Gadda, persone che hanno saputo costruire un intero vocabolario. Questo la dice lunga su quanto i libri si parlino tra loro, sulle vie degli amori letterari».
Non a caso è Flannery O’Connor, un’altra dei maestri letterari, a dare una lezione di scrittura utile al southern gothic di Di Monopoli, quella che ricorre cioè a una certa animalità, come ben sottolinea il titolo Uomini e cani, dove umano e bestiale si confondono, si mescolano, facendo pressione sul tema degli istinti, delle passioni, e inevitabilmente della violenza e della regressione dei personaggi alla dimensione di belve. «È stata una scelta che mi ha riportato al mio sud – chiarisce l’autore – l’idea era di fare di questo sud tutti i sud possibili, e universalizzare il discorso. Torna così il tema dei modelli: c’è sì la volontà di aderire a stilemi tipici di un genere, ma facendoli propri. Le lezioni di O’Connor e Faulkner sono mediterraneizzate, questo è il gotico meridionale di Omar Di Monopoli».
«Storie della mia contea, in chiave Marvel»
Un sud che è leggibile quanto irreale, rappresentato in un luogo di finzione che porta il simbolico nome di Languore: «Basta cercare sul vocabolario – invita l’autore – languore indica un senso di vuoto e fame, sentimenti che spiegavano in maniera plastica l’ambientazione necessaria alla mia storia. Sono dieci anni che vado codificando e costruendo una mia contea personale, sulla scorta di scrittori che finiscono per costruire delle geografie letterarie e avere facilità di manovra. La realtà così può essere manipolata a piacimento, piegando alle esigenze della storia anche avvenimenti di cronaca reale, ma consentendo di lasciare intatta l’eventuale riflessione. Da cinquant’anni a questa parte è ormai appurato che la letteratura di genere ha saputo raccontare la realtà occidentale meglio dei reportage giornalistici, perché può permettersi facilità di azione. Ecco perché in chiave Marvel ho pensato a un universo di antieroi che si muovessero nel medesimo luogo geografico: quella Puglia è il riflesso della Puglia reale, ma è al contempo un luogo metaforico dove si finisce per celebrare l’epos della provincia, e che assomiglia a tutte le province. I luoghi che racconto finiscono per essere lo specchio esagerato di quelli reali».
Un calco verosimile della realtà, per un Salento che nella visione di Di Monopoli è una terra di bellezza e insieme malaffare. Ma c’è una luce di speranza in fondo ai chiaroscuri accentuati? «Questi libri dicono più cose del lettore – è il pensiero dell’autore – c’è chi la speranza la trova leggendo questi romanzi, chi non la trova non la ha forse in sé. Lo scrittore imbandisce una tavola con gli ingredienti che ha imparato a gestire, mette a punto le ricette, ma poi sono i lettori che decidono. Capita che lettori del sud leggano in un certo modo queste storie, lettori del nord in un altro. Ogni cosa scritta finisce per dire cose in maniera diversa: quando parlo di abusivismo, un lettore che vive la medesima condizione finirà per pensare una cosa, uno che è abituato a vedere tutto ciò distante, penserà altro. Nessuna delle due posizioni è più legittima, e credo sia questa la grandezza della letteratura e dell’arte. Non sta a noi fornire risposte: lo scrittore è un osservatore, e siccome la realtà è complessa, quanto più complesso è lo spettro di emozioni che riusciamo a rappresentare, meglio forniremo strumenti a chi legge per farsi un’idea. Il lettore ha una responsabilità, è parte della storia».
Un universo poetico, un serbatoio di storie
Tanti lettori, tante facce di una Puglia e di un Salento, in particolare, a cui la geografia di Di Monopoli fa riferimento implicito. C’è infatti il Salento della festa estiva, ma anche quello dei problemi, del malaffare che finito il semestre di luce si insinua e avvelena la terra (non a caso ai veleni dell’Ilva è dedicato Nella perfida terra di Dio), della mafia sconfitta solo sulla carta. Una regione polarizzata tra brochure turistiche e problemi buttati sotto il tappeto per non essere visti: «L’arte si fa carico di raccontare questo – chiarisce Di Monopoli – ci si sporca le mani per fornire una visione complementare a quella turistica, uno sguardo più sincero. I miei libri hanno la pretesa di diventare riflessioni sul male, sono storie corali in cui si cerca di riflettere sulla violenza servendosi dell’esagerazione».
Non una trilogia, quella costituita da Uomini e cani, Ferro e fuoco, La legge di Fonzi (tutti editi in origine da Isbn), ma un vero e proprio universo poetico, serbatoio di storie dal quale l’autore pesca: «È la mia terra – dice infatti – è sempre lì e le storie si srotolano di fronte ai miei occhi anche e malgrado me, si tratta di coglierle, una volta identificata la voce giusta. Potrebbe essere una saga ormai: ho iniziato a far incontrare i personaggi anche di striscio, perché vivono nel medesimo universo. Provenendo da un retaggio visivo, perché la storia mi si racconti devo prima scoprirla, procedo a tentoni cercando di stilare piccoli schemi, ma parto sempre da suggestioni visive. Quello che dà avvio alle mie storie sono istantanee di vita che mi capitano davanti agli occhi e che maturano».
E poi arriva il lavoro, quello di scrittura, di attenzione alla parola e di sgrossatura, quello faticoso che accompagna le giornate dello scrittore. Omar Di Monopoli sta lavorando a un nuovo inedito proprio ora. L’ennesima storia gotico mediterranea, una promessa con cui anticipa che si tratterà di un romanzo caratterizzato dalla medesima ricerca linguistica dei precedenti, e con personaggi chiaroscurati della medesima risma. Non resta che aspettare.