Una nuova scrittrice scozzese, una protagonista inadeguata, solitaria, col vizio della bottiglia nel fine settimana: ecco “Eleanor Oliphant sta benissimo”. Il passato della trentenne è tutt’altro che facile. Qualcosa cambia, però, davanti a un’amicizia disinteressata…
«Ci si abitua a stare da soli. A dire il vero, è molto meglio che essere prese a pugni in faccia o stuprate». Eleanor Oliphant la pensa così. E dice anche cose, in modo un po’ forbito, tipo: «Non possiedo un cellulare sebbene sia disponibile a farmi persuadere riguardo alla loro efficacia». E, più avanti, lo avrà, un telefonino. Una giovane donna, scozzese, sembra sprizzare normalità da ogni poro. Sembra. Ha trent’anni, vive da sola, fa la contabile, ha una cicatrice in viso, ogni sei mesi riceve la visita di un’assistente sociale, è convinta che «non può essere riparata», parla quasi esclusivamente con una piantina a casa, si è presa una cotta adolescenziale per un cantante rock di una band locale. Ha trascorso gli ultimi nove compleanni, Natali e capodanni da sola; ai tempi dell’università aveva una relazione con un certo Declan, un tipo violento capace di spaccarle dodici ossa, ma solo al secondo braccio rotto aveva capito che «le persone che ti amano davvero non ti fanno del male». Ragione e sentimento è uno dei suoi cinque libri preferiti. Il libro di cui è protagonista è Eleanor Oliphant sta benissimo (344 pagine, 17,90 euro), l’ha scritto Gail Honeyman, una debuttante, è tradotto da Stefano Beretta ed è pubblicato da Garzanti.
Le crepe quotidiane e il crollo
Ci faranno un film, d’accordo. C’è una buona dose di buoni sentimenti e un filo di retorica, in qualche passo una corda robusta. Non bisogna, però, diffidare sempre e comunque dell’apparenze. Anche perché in questo caso, con semplicità disarmante, e a tratti anche con ironia (a cominciare dall’eccentricità della protagonista), Gail Honeyman prende a picconate una delle grandi malattie dei nostri giorni, una delle più ripugnanti, la solitudine. Cantata, con vari gradi di profondità, in canzonette e poesie, e nel suo romanzo immortalata così com’è. La svolta per Eleanor arriva nell’incontro con un tecnico informatico, Raymond, e con un anziano che soccorre per strada. Più o meno a metà libro basta un gesto gentile e disinteressato (un pranzo offerto) per fare vacillare ogni certezza (negativa) della protagonista. Raymond è tutt’altro che un principe azzurro: pancetta, barba ispida a chiazze, scarpe da ginnastica ai piedi, niente macchina, «impugna la forchetta con la destra, come un bambino o un americano», scrive mail piene di sigle e abbreviazioni, con un suo stile di comunicazione che Eleanor definisce «da analfabeta». L’arrivo di un buon amico come Raymond nella sua vita non cancella istantaneamente le cose che non vanno, le crepe quotidiane. Ogni mercoledì la madre di Eleanor continua a telefonarle dal carcere, riemergono i ricordi tristi legati al destino della sorella. Eleanor ricade, inesorabilmente, nell’alcool, suo abituale vizio del weekend. Crollando quando capisce l’inconsistenza dei suoi sentimenti per il rocker (che è anche un po’ sfigato, si veda la sua svolta solista…)
Per rinascere serve coraggio
È una questione di demoni personali (chi non ne ha?), di corazze interiori e di buchi neri, di incertezze e dubbi. Gail Honeyman sa come affrontare ed evocare tutto ciò. Sceglie la strada di un’apparente semplicità, che riesce a scavare lentamente in profondità. La sua Eleanor ci riesce anche grazie alla dottoressa Temple, una terapeuta. Ma non basta. Dopo tanti anni passati a mentirsi, a rimuovere i propri fantasmi, alla ragazza di Glasgow serve puro coraggio per scrollarsi tutto di dosso. Se e come ce la farà è qualcosa che va lasciato ai lettori, per scoprirlo occorre arrivare in fondo a un libro che dal punto linguistico non oppone nessuna difficoltà, come nella struttura che si nutre appena di qualche flash-back.
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