La scrittrice palermitana torna al romanzo con “Cosa vedi”, una distopia ambientata in una Palermo del futuro, lontana dalla Venezia che era stata lo scenario del suo primo romanzo, “Cico c’è”. Dopo aver esordito con una casa storica come Einaudi, adesso la fiducia in un’editrice giovane e in ascesa, il Palindromo. Un ritorno in libreria dopo quattordici anni, che la stessa Ambrosecchio spiega in questa videointervista
È trascorso tanto tempo. Ma non è trascorso invano. Nel 2004 Cico c’è, pubblicato da Einaudi, era stato un piccolo caso editoriale, che aveva attirato attenzioni e apprezzamenti. Da allora Vanessa Ambrosecchio, scrittrice palermitana su cui aveva scommesso lo Struzzo, non era tornata al romanzo. Quasi un silenzio assoluto. Aveva pubblicato solo alcuni racconti, e continuando il proprio lavoro lontana da «ansie editoriali» che non le appartengono. «Non ho mai smesso di scrivere», assicura subito.
L’incantesimo, per così dire, della nuova pubblicazione s’è però rotto adesso con l’arrivo nelle librerie di Cosa vedi, (204 pagine, 12 euro), proposto per i tipi del Palindromo; un lavoro in cui in qualche modo l’autrice si “riconcilia” con Palermo, volontariamente esclusa dall’orizzonte della sua prima opera, e in cui si ritrova lo stile di Ambrosecchio, quel «lavoro sulla parola» che l’ha sempre caratterizzata, pur con tematiche di fondo che vanno in un’altra direzione rispetto al passato.
Ambrosecchio si racconta, a partire dal nuovo progetto editoriale e non solo. C’è spazio per vari argomenti. La riconoscenza per la sua prima casa editrice, la Einaudi, la voglia di scommettere sul progetto «chiaro e coerente» del Palindromo, casa guidata da due giovani editori palermitani, con cui aveva già avviato qualche collaborazione, il senso di aver chiuso i conti con tutto quello che aveva riversato nella sua prima opera, e di aver scritto una storia pienamente proiettata nell’età adulta. E che la proietta nel futuro
Buona visione