Conti, la natura che diventa poesia e detta legge

“Sudeste” dello scrittore argentino Haroldo Conti – la sua vita si concluse come quella di altri desaparecidos, vittime dal regime militare – un romanzo capace di dipingere un intero universo grazie a un vagabondo solitario e taciturno, a bordo di una barca lungo un fiume. C’è pochissima introspezione e il corso d’acqua diventa protagonista…

Non sarebbe possibile affrontare la lettura di Sudeste (217 pagine, 14,90 euro) senza prima aver cercato informazioni sul suo autore, sulla sua storia e sulla vicenda editoriale di questo romanzo. Argentina, 1976: dopo il golpe Haroldo Conti viene rapito dal regime militare e fatto sparire, per sempre. Si chiude così, in una immaginaria lista di nomi tra desaparecidos, la carriera di un giornalista e scrittore tra i più noti dell’Argentina novecentesca, autore nel 1962 di Sudeste , romanzo vincitore del premio Fabril mai approdato in Italia prima di oggi, 2018 in cui arriva sullo scaffale di Exòrma nella traduzione preziosa e incantata di Mario Magliani.

Sudamerica

Canneti, acque torbide e isole di sabbia, giunchi e la morte che abita le capanne come un personaggio, e non spaventa, è solo una dei tanti. È così che si apre Sudeste di Conti, collocando subito il lettore in un paesaggio e in un’atmosfera precisa, quella del Sudamerica del Rio de la Plata, del suo immenso delta formato dalla congiunzione con il Paranà, ma anche del Sudamerica letterario, venato di immancabile senso dell’attesa e immobilità che si stemperano in un paesaggio densissimo. Natura che diventa poesia attraverso le parole. Echi di pagine sudamericane risuonano mentre il Boga, solitario protagonista di questa storia, tuffa i remi in acqua per spostarsi tra i canali, in cerca di luoghi per la pesca, di boe di segnalazione, tra chiatte e personaggi che esprimono, con una sola ruga del viso e un’unica battuta di dialogo, interi universi. Siamo in un delta complesso e dominato dalle correnti: è la foce ramificata di un immenso corso d’acqua, una pagina di Argentina sospesa a metà tra il fiume e il mare, acqua e sabbia, capanni come palafitte, scafi di barca, pesca e giunchi.

Il suono del fiume

Il paesaggio si srotola sotto la scia della barca fin dalla prima pagina di Conti. Il fiume domina su tutto, su tutti. Sono le sue correnti, i suoi mutamenti dovuti alle maree, i suoi scenari, le sue spiagge e isolotti a dettare legge, e ad essi si piegano i personaggi. Il vecchio, che attende la morte e la lascia arrivare sereno, la vecchia che lo assiste, e il Boga che sente di dover battere la propria strada, e così prende la barca e salpa, solo, lasciandosi tutto dietro senza rammarico, in cerca di avventure sul fiume che conosce e che diventerà la sua casa. La natura, come si diceva, detta legge. È lei a stabilire le rotte, a coprire tutto di silenzio e a lanciare segnali invisibili per chi non se ne lasci trasportare. Ma il Boga ne è completamente avvinto, con il fiume immerge la propria esistenza nello scorrere delle stagioni di un anno intero. È un anelito di libertà, la ricerca di una pace, la fuga dalla spugna interiore che – il narratore non smette di darne prova – infila tra il fiume, tra la sua voce e i suoi colori, le emozioni e i sentimenti umani che hanno a che fare con la malinconica tristezza che prende vita e spazio tra le vive nello spazio della acque insieme al Boga. Così intensa e presente, eppure così dolce e consolante insieme come il vento di Sudeste, che sospinge il mare nel fiume: ha il sapore della saudade. Non è un caso: siamo in Sudamerica.

Dove portano le correnti

In questo universo nitido seppure sfuggente si muove il Boga, sulla sua barca riparata dalle falle e tra un paesaggio in grado di parlare e farsi protagonista. Il Boga smette di contare i giorni, scandire mesi e settimane: è il fiume a svelargli come vanno le cose, se è domenica perché ci sono più diportisti, se arriva l’inverno perché proliferano gli insetti. Non accade apparentemente nulla, il Boga vaga, pesca, costruisce rifugi. Sente il fiume: lo scorrere delle sue acque, la sua temperatura, la sua umanità. Si lascia andare a questa forza che decide del suo errare, sul piccolo scafo dotato di quanto necessario per sopravvivere. Non ha casa, il Boga, non ha amici né legami, e nemmeno affetti. È la corrente a guidarlo, e lui sa di non doversi opporre, di non poter fare resistenza alcuna. Vaga, il Boga, e non esiste altro tranne la propria essenza d’uomo, e quella del fiume. Uno scorrere: in questo si trasforma l’esistenza del personaggio che, giornata dopo giornata, incontrerà altre esistenze, tuttavia distanti, sempre come attutite, seppure negative. Nonostante tutto, non opponendosi né sfidando la corrente in una sorta di vita osservata da fuori, ridotta all’essenziale e intrisa di umidità e melanconica prospettiva, ma limitandosi a seguirne il richiamo, il Boga troverà ancora la sua strada, il suo fiume.

Un uomo e una barca

Vero protagonista del romanzo di Haroldo Conti è infatti il fiume, di cui il Boga, insieme al Cabecita e al suo cane, è solo un visitatore, uno che lo conosce e vi si muove, in cerca di un destino. «Il fiume è splendido e l’uomo se ne sente misteriosamente attratto. Questo è tutto ciò che si può dire. L’uomo si trattiene vicino alle sue acque e osserva con una certa nostalgia quella sussurrante vastità, come se avesse perduto qualcosa di molto amato e assolutamente fondamentale in mezzo a questo fiume che somiglia all’eternità. Forse questo lo porta a pensare che il fiume sia buono».
La nautica e il suo mondo hanno di che esplicitarsi in questo ambiente acquatico: scafi, riparazioni, alberi, vele, parti di yacht. La barca è la casa, e il Boga cerca una barca di cui prendersi cura, per dare alito all’entusiasmo che arriva a folate, come il vento di Sudeste, e rompe la sua ciclica e ripetitiva solitudine rassegnata. Aleluja, questo lo scafo di uno yacht arenato di cui si innamora, e verso il quale lascia sporgere la sua vita, rimettendola in circolazione, lasciando entrare personaggi e storie. Una vicenda semplice, seppure ravvivata nella seconda parte dall’evolversi di una serie di episodi inaspettati, ma soprattutto un romanzo capace di dipingere un intero universo grazie a un vagabondo solitario e taciturno, questo è il libro di Haroldo Conti. Pochissime le parole, pochissima l’introspezione: è il fiume a parlare, sono le luci che dettano legge sui sentimenti e le disposizioni d’animo. È il ritmo, traghettato in una traduzione che non lascia indietro nulla dell’originale, del suo singolare mondo fluviale, zuppo di poesia e di nautica, di solitudine e dolce fatalismo da scacciare accontentandosi di un falò caldo, e di un po’ di pesce e gallette.

È possibile acquistare questo volume in libreria o a questo link https://goo.gl/ph8ojU

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *