Editor della narrativa italiana per l’editore Fazi e scrittrice, Alice Di Stefano punta su parecchi classici riconosciuti, un paio riscoperti di recente, almeno in Italia, e su uno dei più autorevoli candidati alla vittoria del prossimo premio Strega. Ecco i sette suggerimenti dell’autrice di “The publisher”
“Quando lei era buona” di Philip Roth (Einaudi)
Un libro in cui mi sono molto identificata e che mi ha fatto molto riflettere sulle conseguenze delle azioni e dei comportamenti dovuti al carattere. È il primo e credo unico libro di Philip Roth in cui la protagonista è una donna, disorientata di fronte a un mondo senza regole e ribelle verso le convenzioni create dall’uomo. Dell’autore, di cui leggo o rileggo almeno un libro all’anno, sono sempre stata attratta per capire i meccanismi della scrittura e la costruzione a più linee narrative di impianto corale. Infinita, del resto, l’opera di Roth, una sorta di Commedia umana dei giorni nostri, inno e insieme critica del mito americano, di cui, secondo me, non si possono non leggere Pastorale americana, Il teatro di Sabbath e Ho sposato un comunista.
“La storia” di Elsa Morante (Einaudi)
Un romanzo potente, epico, straziante, che fu grandemente amato e grandemente criticato all’epoca della sua prima uscita ma che oggi potrebbe avere un significato nuovo agli occhi dei lettori, specie giovani, visto il rinnovato interesse per gli anni della guerra in rapporto all’attualità. Il libro racconta le vicende di una donna, sola e con due figli, che si trova a vivere gli anni più duri del conflitto mondiale che, a partire dal ’43, coinvolse direttamente la popolazione civile, con i bombardamenti, gli attentati, la fame che colpirono soprattutto la capitale. Dichiarata città aperta e teatro di sanguinosi episodi, Roma nel romanzo è protagonista insieme ai personaggi per una riflessione sulla Storia che attraversa tutti ed è formata da singole vicende che si intrecciano fra loro.
“Augustus” di John Williams (Fazi)
Dall’autore di Stoner, un libro sorprendente che ricostruisce, attraverso la forma del romanzo epistolare, le vicende politiche e umane dell’imperatore Augusto. Una riflessione sul potere, i rapporti di forza, l’amore, l’amicizia al tempo di Roma antica, e non solo. Scritto evidentemente sulla falsariga delle Memorie di Adriano, rende alla perfezione intrighi, tradimenti, alleanze e legami familiari dell’epoca augustea: straziante il rapporto tra l’imperatore e la figlia Giulia così come il lungo monologo finale del protagonista (muto per tutto il libro e sempre descritto attraverso le parole degli altri) che riflette, nell’imminenza della morte, sul suo lungo regno e sul significato della propria esistenza. Incredibile, per me, il fatto che proprio un americano sia riuscito a ricostruire la grandezza, anche morale, dell’antica Roma, che è alla base di tutta la nostra storia.
“Vergogna” di John Coetzee (Einaudi)
Un romanzo che mi colpì moltissimo quando lo lessi la prima volta e un libro capace di cambiare il modo di pensare delle persone. La narrazione si appunta sulle vicende di un professore, accusato di molestie sessuali da una studentessa, e sull’ambiente saturo di violenza in cui vive la figlia di lui. È solo alla fine del libro, però, lette le ultime pagine, che si capisce il senso della storia e anche il titolo del romanzo che è un po’ indice di quello che non viene mai detto nel libro e insieme riflessione su un sentimento in genere poco indagato come quello della vergogna. L’ambientazione sudafricana, che fa da sfondo alla storia, è molto affascinante e i personaggi, tutti diversi fra loro, seppure legati da fattori indefiniti, rappresentano i diversi modi di vivere e di pensare, una pluralità di punti di vista che spinge a riflettere sulle differenze di sensibilità di ognuno di noi e sul rispetto che ognuno dovrebbe riservare agli altri.
“La tregua” di Mario Benedetti (Nottetempo)
Un romanzo intenso e poetico che ha il respiro della riflessione, quella del protagonista, nel momento in cui si ritrova a pensare ad avvenimenti del passato e in particolare a un incontro che gli ha cambiato l’esistenza. Come per altri libri di lingua spagnola, compresi quelli di Marias, qui il fattore romanzesco, che pure c’è, non stona mai ma anzi arricchisce il racconto con colpi di scena imprevedibili e quasi legati a un filo misterioso. Il resto è la cronaca di una vita familiare spezzata e di una resistenza che si costruisce pazientemente giorno per giorno, aspettando la fine. Notevoli le riflessioni sul destino e sul modo che ha il tempo di passare, accelerando ogni volta che siamo felici e rallentando fino a fermarsi quando si è tristi o vittime di una sorte avversa. Un libro che, sugli scenari di una città lontana, appartiene alla grande letteratura sudamericana.
“I Viceré” di Federico De Roberto
Non mi stancherò mai di caldeggiare questo libro, uno dei romanzi più belli della nostra letteratura, molto simile, per le sue caratteristiche di decadenza, ai Buddembrook di Thomas Mann. È la storia della famiglia Uzeda e del suo inesorabile declino nel passaggio dalla dominazione borbonica all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia. I rivolgimenti, il cambio di regime, i mutamenti nella società passeranno senza che nulla veramente cambi. La narrazione, con dialoghi frequenti che riportano i fatti senza alterarne il senso, vuole essere il più possibile oggettiva per non snaturare, ma anzi rendere perfettamente, l’ambiente e il carattere dei singoli personaggi. Lo stile del libro è seducente, avvolgente e capace di trasportare in quel mondo andato quanto far riflettere su ogni situazione di rovina e disfacimento nonché sulle caratteristiche di un certo modo di pensare tipicamente italiano che sopravvive tenace nonostante i cambiamenti politici e le rivoluzioni.
“Resto qui” di Marco Balzano (Einaudi)
Storia di resistenza, in tutti i sensi, questo romanzo parla della forza delle radici, dell’attrazione che esercitano i luoghi del cuore e dell’importanza della memoria. Fulcro della storia è Curon, nel Sudtirolo, paesino al confine tra Austria, Svizzera e Italia che nel 1950 venne interamente coperto dall’acqua dopo la costruzione di una diga. Attraverso le vicende di una famiglia di montanari, e la voce della protagonista, sono ripercorsi gli anni del fascismo, quelli della guerra e quelli, forse ancor più crudeli, del dopoguerra. Una serie di violenze, fisiche e morali, si abbatte via via su tutti i personaggi: il paese sepolto di Curon, così, diventa il simbolo dei valori da preservare, della lingua come identità, dell’equivalenza tra la violenza reale e quella data dallo sradicamento forzato, vero e proprio terremoto emotivo e lacerazione profonda per chiunque. Un romanzo intimo, profondo e toccante per la ricerca della propria identità. Il romanzo di Balzano, secondo me, è l’ennesima testimonianza della buona salute di cui gode la narrativa italiana oggi nonostante le critiche ricorrenti e le tante oggettive mancanze.