I primi due libri – “quello da ragazza e quello da donna” – la decisione di vivere a Sarajevo, il dolore, l’età adulta, l’importanza di scegliere. Una conversazione con Andrea Marcolongo, che nel suo nuovo volume si mette a nudo, raccontando del viaggio degli argonauti
Il treno è la seconda casa di Andrea Marcolongo, anzi la prima quando gira l’Italia per incontrare i lettori, per rinnovare gli appuntamenti con un pubblico che ha trovato numeroso con il suo primo libro, La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco, edito da Laterza, e che sta via via ritrovando, con estimatori che si moltiplicano. Il suo esordio è stato un successo (tradotto in 24 Paesi, venduto in mezzo milione di esemplari), ma lei non ha ceduto alla tentazione di percorrere un solco già conosciuto, di riprovare una soluzione “semplice”, come qualcuno auspicava e magari, neanche tanto velatamente, le suggeriva. «La macchina editoriale? Nessuno credeva nel primo libro – fa notare Marcolongo, già ghost writer di Matteo Renzi – poi per il secondo tutti volevano una specie di sequel, come se fosse Guerre Stellari e dovessi continuare la saga. Non ritengo i lettori sciocchi, né i libri prodotti, e il successo non è il metro con cui prendo decisioni. Rispetto il pubblico e non intendo tradirlo scrivendo qualcosa in cui non credo». Il risultato, dopo l’inaspettato bestseller, è stato La misura eroica. Il mito degli argonauti e il coraggio che spinge gli uomini ad amare (216 pagine, 17 euro), pubblicato da Mondadori. La scintilla per Marcolongo è sì un mito classico, più antico dei poemi omerici, quello di Giasone e dei suoi compagni in cerca del vello d’oro. Ma nel nuovo libro l’autrice si mette a nudo, col racconto di una rivoluzione interiore e di alcuni viaggi che sono ben più difficili di certe arti, viaggi come partire, amare, approdare all’età adulta.
Marcolongo, quanto coraggio le è servito per non ripetersi?
«Parecchio, e non è un caso che coraggio sia nel sottotitolo del nuovo libro. Ho già scritto che mi piace il greco, penso basti, e ho uno sguardo antico, ma magari non sarà sempre così. Forse qualcuno si aspettava 9 ragioni per amare il russo o il latino, o qualcos’altro di geniale, dopo la lingua, pensando al successo garantito, ma non è col successo che misuro il mondo o prendo decisioni. Non intendo tradire la fiducia di chi mi legge, agli incontri non potrei guardare la gente negli occhi se avessi scritto qualcosa in cui non credo.
Cosa è stato determinante nella scrittura de La misura eroica?
«L’avere sempre la valigia in mano e aver fatto compagnia al mio debutto in tanti luoghi, visto che è stato pubblicato da piccole o da grandi case editrici. Il riscontro del primo libro mi ha dato il coraggio per scrivere il secondo. Il mio esordio spesso è stato al centro di polemiche dell’ombelico, come se lo avessi scritto per convincere tutti a frequentare il liceo classico, quanto sia bella o meno una squadra piuttosto che un altro, o quanto possa tornare di moda o no il greco. Da Bogotà a Berlino, a Palermo, ho trovato la forza per assumermi la responsabilità di scrivere di qualcos’altro. Tutti del resto mi chiedevano della vita. E le domande dei lettori, incontrati in mezzo mondo, mi hanno sconvolto e costretto a prendermi sul serio come scrittrice, a lottare per restare una persona piuttosto che un caso editoriale, a farmi dire tanti no».
Ne La misura eroica fa anche i conti col dolore…
«Come dico spesso, non so scrivere di cose che non amo. Ma scrivendo degli Argonauti ho finito per rivolgermi al presente, attraverso lo sguardo filtrato da un mito antico. Come Roberto Calasso credo che il mito sia qualcosa che non è mai accaduto ma tutti i giorni succede. Gli argonauti, a differenza degli eroi omerici che fanno grandi cose per essere ricordati, affrontano l’ignoto, non sono perfetti e splendenti, ma sono come chi, oggi, sceglie di essere se stesso, non di arrivare primo. Gli argonauti sono un mito che parla di imperfezione umana, vivono di fallimenti, coraggio, amore e dolore, del dolore che racconto e magari per il mondo è un tabù da nascondere».
Ha voglia di misurarsi, dopo i primi due libri, con un romanzo puro?
«Premesso che è difficile dare una definizione del secondo, che per il quotidiano Le Monde è un diario intimo erudito, un libri che parla a tutti attraverso una prospettiva personale. E premesso che considero La misura eroica il mio libro da donna, rispetto al primo, che era il mio da ragazza, il primo approccio in cui ero poco esperta e tendevo a essere troppo ironica, è fra i miei desideri percorrere altre strade, in me c’è la voglia di misurarmi con qualcos’altro, ed è difficile che sia un libro di ricette».
Come ha maturato la decisione di stabilirsi a Sarajevo?
«Visto che sono mezza francese sarebbe più normale che stessi a scrivere in qualche caffè parigino? Ho visitato Sarajevo nel corso di un normale viaggio da turista, me ne sono innamorata, ho pensato che ci fosse qualcosa da capire in una città che solo venticinque anni fa ha vissuto un assedio medievale e non era arrabbiata, nonostante ci fossero lapidi bianche ovunque. Poi è arrivata la scrittura, sono andata lì a scrivere il primo libro ed è vivendo lì che ho colmato certe mie mancanze. La mia famiglia biologica non c’è più, a Sarajevo ho ricostruito la mia famiglia del cuore».
Vive lì, ha anche imparato la lingua, fa sul serio?
«Ho imparato una lingua difficilissima, ma non perché sia pazza, vivo lì perché sono felice; felix significa essere fertile, portare semi e penso che accadrà qualcosa di buono. Lì riesco a prendermi il tempo e la cura per scrivere. Il mio libro più recente parla di coraggio, fallimenti, eroismo, infrange il tabù del dolore, maneggiare il vocabolario del dolore per me è normale come vivere a Sarajevo. Una persona ferita da una città ferita ha scritto La misura eroica».
Scegliere, si legge tra le righe, è una delle cose più difficili…
«Scrivere del viaggio per mare degli argonauti significa guardare al fallimento e alla felicità, che arriva dopo aver scelto la propria strada. Scegliere è alla base di tutto. La non scelta e la non responsabilità non mi piacciono. Non m’interessa il giochetto di dire che è colpa di quell’altro o che io volevo fare altro ma qualcuno me l’ha impedito. Siamo al mondo non per essere supereroi, ma per fare grandi cose». (Questo articolo è stato pubblicato in forma ridotta sul Giornale di Sicilia)