Scompare Roth, immortale della letteratura, scandaloso in gioventù, poi entrato nel canone, ma sempre politicamente scorretto. Gli eredi designati saranno capaci d’esserlo? Lui, intanto, sarà finito in una biblioteca dove poter leggere gli scrittori che amava…
È morto Philip Roth, viva Philip Roth, molto più di un re, una leggenda in vita da decenni e da defunto per il tempo che verrà. Un capolavoro – non quelli annunciati ogni settimana da giornalisti col gusto per l’iperbole – è raro anche per pochi grandi scrittori, lasciarne almeno quattro – Il lamento di Portnoy, Il teatro di Sabbath, Pastorale Americana, Il complotto contro l’America, per tacere delle straordinarie storie su e con Zuckerman – è semplicemente da Philip Roth, lo scontroso, poco mondano, indecifrabile, libero e coraggioso ragazzo cresciuto a Newark, capace di andare oltre a dove erano arrivati il suo maestro Bernard Malamud e l’amico rivale Saul Bellow, di diventare un genio della letteratura, come lui stesso aveva definito Primo Levi, di stare accanto a Kafka.
È morto Philip Roth, ma non muoiono la morte, la vita e il sesso delle sue pagine (in Italia per Garzanti, Bompiani, Leonardo e, infine, Einaudi e Meridiani Mondadori), e sono andate in frantumi molte delle cose che la sua ironia e il suo sguardo critico non hanno risparmiato. E sono vivi, vivissimi Nathan Zuckerman, Alexander Portnoy, David Kepesh. E il sospetto è che anche Roth sia immortale come i suoi personaggi: scandaloso da giovane, autolesionista per autorevoli e ortodossi esponenti della comunità ebraica non solo statunitense, velocemente entrato nel canone, ma sempre politicamente scorretto, senza mai dar nulla per scontato, neanche credere di aggiudicarsi il premio più importante, ma non importante come lui (e se ne tenga conto, dando il giusto peso ai nomi futuri, a cominciare dal doppio annuncio del 2019); come scrittore se n’era già andato da anni, cristallino e onesto, senza ostinarsi come colleghi più furbi a pubblicare in eterno, come faranno magari quelli chiamati – ne saranno capaci? d’essere tanto universali? di raccontare come ha fatto lui caos, desideri ed errori? – a raccoglierne l’eredità, da ovest a est, dagli Stati Uniti al Giappone, passando per il cuore dell’Europa e Israele. In questo primo giorno in cui il mondo s’è risvegliato senza lui, viene quasi solo da ringraziarlo: thank you for the good times. E da contraddirlo, magari, a proposito di come tutto finisce, dell’uscita di scena.
È morto Philip Roth e nichilista com’era, com’è, avrà creduto – fino all’ultimo sussulto del proprio cuore – che non stava andando in nessun luogo, da nessuna parte. Sarà rimasto sorpreso di essere finito dove poter leggere in santa pace Salinger, Flaubert, Camus, Faulkner, Dostoevskij, Schulz, Kafka e Philip Roth.