“Quando sarai nel vento” di Gianfranco Di Fiore è uno dei libri più interessanti degli ultimi anni. Dall’Aquila del dopo sisma a Parigi, passando per l’Argentina e gli Stati Uniti, Abele conduce una ricerca del padre mai conosciuto e di se stesso. Tra citazioni letterarie e musicali, una storia per lettori che non si chiedono soltanto “come andrà a finire”
Si è lasciato alle spalle il Cilento, Abele, per studiare il vento sulle montagne abruzzesi, e grazie ai suoi quotidiani spostamenti tra la stazione meteo ed il paese dove vive, tocca con mano gli effetti devastanti e dolorosamente duraturi del sisma. Abele è il protagonista di Quando sarai nel vento (508 pagine, 18 euro) di Gianfranco Di Fiore, pubblicato da 66thand2nd.
L’Aquila, città sfigurata
L’Aquila – che senza averlo chiesto, assomiglia all’immaginario Spoon River o alla ben più reale Amburgo di Stig Dagerman – è in quei giorni una città in ginocchio, dove la vita normale non sembra più capace di ottenere una stabile residenza. Una città sfigurata, dove da tempo non si vede un bambino per strada, ma solo ruspe che brucano cemento e tondini, e che con tutti gli altri comuni del cratere è adesso alla ricerca del tempo necessario “per disseppellire la vita rimasta schiacciata dalle macerie”.
Alla ricerca di un padre
Ma è la miseria umana, quella che “scuote la Terra più di ogni altro terremoto” a rendere Abele prigioniero di una timidezza “densa e preoccupante”, dalla quale, con un lungo ed a tratti impervio Camino intrapreso con Marlena, decide di allontanarsi “per smettere di avere paura”, con in tasca il suo inseparabile pezzo di sapone dalla composizione davvero speciale.
Si muove, allora, alla ricerca di un padre che non ha mai conosciuto, per realizzare con lui quella necessaria commessura, voluta con tutte le sue forze e, forse, in grado di offrirgli, finalmente, una visione del tutto inedita della sua esistenza.
Si muove, perché pensa “sia giunto il momento di provare ad avere un passato” e “ristabilire un contatto veritiero con il mondo”, lontano persino da quel cielo della sua terra, che non ha “alcun amore, alcuna amicizia, alcun patto di sangue” da offrirgli. Un’assenza che deve a tutti i costi mettersi alle spalle, per riappropriarsi, dice, “dei desideri da cui mi ero sempre allontanato per scelta”, verso quella “sensazione rara di sentirsi utili”.
Una cartolina lo porta in Argentina e, da qui, il suo viaggio continuerà poi, non sempre come vorrebbe, negli Stati Uniti, a Brooklyn ed, infine, a Parigi.
Un lungo viaggio, una nuova vita
In Sudamerica, i contatti con le persone e gli oggetti, ma anche con tutto ciò che li circonda, gli regalano una vicinanza mai provata prima con una figura paterna ancora non del tutto chiara, mentre i versi di Whitman ispirano la lotta ecologista in una regione della Terra sempre più addentata a morte. Protesta che, seppur condivisa, gli offre (anche qui, di nuovo) tanti dubbi: “c’era del denaro nascosto tra i versi e la barba”.
Negli USA, l’infanzia del nonno Isaac, negata e violentata tra l’indifferenza di un’intera società, diventa “il punto di intersezione” tra il suo universo e quello di un padre non ancora ritrovato ma che – adesso ne ha le prove – sa che un giorno qualcuno lo cercherà.
Ma sono le persone care di oggi, di quel presente mai compreso del tutto, ad offrirgli altre tessere di un puzzle non ancora del tutto composto ed a condurlo nella capitale francese, ultima tappa prima del rientro a casa, di un viaggio grazie al quale Abele – magistralmente disegnato in copertina (complimenti, davvero) come unico “polo” non raggiunto da alcuna linea di collegamento con tutti gli altri soggetti – si riappropria della chiave di lettura del suo passato e può, davvero, ritenere possibile “una nuova vita nella testa”.
Romanzo certamente non facile e nemmeno breve, con una colonna sonora funambolica (mettere insieme i Sex Pistols e Alicia Keys non è forse da temerari?), Quando sarai nel vento di Gianfranco Di Fiore è sicuramente uno dei lavori più interessanti degli ultimi anni. Non a caso Marcello Fois lo ha, con merito, proposto, con parole molto lusinghiere, per lo “Strega”. Lo segnalo soprattutto ai lettori che non si chiedono soltanto “chissà come andrà a finire”.
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