La sceneggiatura di una pellicola mai girata da Tornatore, scritta dal regista con Massimo De Rita, preceduta dal racconto della frustrante mancata realizzazione. Una città che, nelle intenzioni di Hitler, non avrebbe resistito più di tre mesi, tenne duro per 900 giorni. Non senza conseguenze
Un libro e due storie. La prima è quella di uno dei più grandi film che in Italia siano mai stati progettati (ma mai girato) dal budget vicino ai 100 milioni di dollari. L’altra è quella di una famiglia di Leningrado durante i 900 giorni di assedio della città da parte dei nazisti: dal settembre del 1941 al gennaio del 1944. Sono contenute nel libro edito di recente da Sellerio Leningrado di Giuseppe Tornatore e Massimo De Rita. Un film e un progetto al quale stava già lavorando Sergio Leone prima di morire ma del quale oggi non resta nulla se non il racconto di un imponente piano sequenza che avrebbe dovuto aprire la pellicola.
La storia di una famiglia
A Tornatore, racconta lo stesso regista nell’introduzione al libro che altro non è che la sceneggiatura del film, viene proposto nel 1994 di girare un film sull’assedio di Leningrado, episodio storico che non conosce direttamente se non tramite i racconti che ha ascoltato sul progetto di Leone. Si documenta, viaggia in Russia e raccoglie materiali. Scrive la sceneggiatura che viene letta negli Usa ma anche in Russia oltre che in Italia. Ma nessuno finanzia l’impresa che adesso è diventata un libro. Un libro che è la sceneggiatura la cui prima stesura risale al 2004 (dieci anni dopo la proposta) e racconta anche la storia della famiglia Ivanov: padre fotografo, madre musicista, una nonna e due bambini nei giorni dell’assedio. E leggere quelle pagine è quasi come vederlo quel film che non è mai stato girato.
Una città libera
Difficile solo immaginare quello che può accadere in una città di tre milioni di abitanti messa sotto assedio e senza rifornimenti per due anni e mezzo. Difficile descrivere il milione di morti alcuni dei quali non venivano più neanche sepolti per mancanza di forze per lo scavo delle tombe. Difficile riportare sullo schermo anche gli episodi di cannibalismo che si verificarono. L’importanza delle tessere annonarie che potevano valere anche più di una vita stessa. O l’ottusità della polizia sovietica che impediva di tenere diari perché potevano fornire informazioni al nemico. La città come un immenso campo di concentramento che nelle intenzioni di Hitler e dei suoi strateghi e nutrizionisti doveva cadere in tre mesi ma che resiste per 900 giorni. Una città isolata anche dalla stessa Unione Sovietica di Stalin e quindi, in un certo senso, “libera”. E così la vita intellettuale della città non si fermò mai all’Hermitage o al teatro Kirov e Dimitri Shostakovic compose la sua settima sinfonia dedicata propria alla città sotto assedio ma anche allo spirito dei leningradesi.
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