Stanchi del proprio mondo e della propria vita una scrittrice e un ricco avvocato – separatamente, senza conoscersi – lasciano gli Usa per andare a Tel Aviv. Sono i protagonisti di “Selva oscura”, ultimo romanzo della scrittrice americana, che per rinascere non esitano a perdersi. Una storia colma di letteratura, dolcezza e malinconia, che apre universi a ogni pagina
Un affascinante inno alla letteratura, che gronda ambizione ed erudizione: non un romanzo perfetto, anche in questo sta la sua bellezza assoluta, ma magnifico, che sta al di sopra di molti strombazzati lavori di suoi connazionali, in genere uomini. Ecco cosa è Selva oscura (323 pagine, 19 euro) di Nicole Krauss, tradotto per l’editore Guanda da Federica Oddera. Alla scrittrice americana era già successo qualcosa del genere con il libro precedente, La grande casa. Anche quello era un concentrato di scrittura elegante, complicati intrecci di storie parallele, rimandi letterari, religiosi e mistici (senza che la Krauss sia ebrea praticante). E anche allora alcuni, pochi grazie al cielo, avevano storto il naso. Bisognerà farsene una ragione: capita a quasi tutti quelli che hanno successo e ambizione, e la Krauss, a ventinove anni, con La storia dell’amore ha pubblicato un libro che vince la sfida del tempo (diventato un film poetico a tanti anni di distanza dalla pubblicazione). Oltre a considerare che sì la nuova storia ha alcuni motivi autobiografici di fondo, ma senza la necessità, per capirla, di frugare troppo nel vissuto dell’autrice, nel divorzio da Jonathan Safran Foer, altro scrittore di fama mondiale, cercando indizi o affinità con Eccomi, il libro post divorzio dell’ex coniuge, in cui Israele ha un ruolo fondamentale, come in Selva oscura. Per l’ultimo romanzo della Krauss s’è scomodato sua maestà Philip Roth, uno che qualche riga l’ha scritta, e il rapido e ammirato blurb accompagna Selva oscura nelle copertine delle traduzioni di tutto il mondo.
Gli incontri di due anime svuotate
Una scrittrice in crisi personale e professionale (tanto da nutrire seri dubbi sull’utilità e sulla bellezza dei meccanismi della narrativa), di nome Nicole, e un ricchissimo avvocato, Jules Epstein, il loro racconto procede a capitoli alternati, lasciano gli Stati Uniti per recarsi in Israele, dove sentono in qualche modo di compiere un viaggio spirituale alle radici di loro stessi. Senza saperlo entrambi fanno base al monolitico hotel Hilton di Tel Aviv («la città dell’ostinazione»). Prima di sparire nel nulla, come si capisce già in avvio di romanzo, Epstein – grandissimo personaggio, incontenibile – si spoglia di molto del denaro accumulato in una vita, mette alle spalle il proprio mondo, che lo ha stancato e svuotato e torna nella terra dei propri genitori: ossessionato da un rabbino, finanzia un milionario progetto di foresta nel deserto, contribuisce economicamente alla produzione di un film su re Davide (di cui crede d’essere un discendente). La scrittrice, altra anima svuotata, che vive a New York ed è alle prese con la separazione dal marito, incontrerà Eliezer Friedman, un vecchio professore di letteratura, amico di famiglia che forse è stato o è anche un agente segreto del Mossad. E che la mette sulle tracce di pagine inedite e disperse di uno dei più grandi scrittori di sempre…
Nè cronaca né politica, ma poesia
La terra d’Israele è tutt’altro che vagheggiata, anzi, concretissima, con tanto di riferimenti ad avvenimenti e a politici, agli attacchi che arrivano a Tel Aviv dalla striscia di Gaza. Questo non significa che il libro voglia fare cronaca o, peggio, politica. Krauss vola in altre direzioni, tratteggia due figure che per cambiare e rinascere non esitano a perdersi e a fallire, e con Selva oscura non scrive un semplice romanzo, ma un volume che è anche riflessione su letteratura, poesia e filosofia, sull’identità e sull’ignoto, sull’incertezza e sulla memoria, una comprensione e un tentativo di superamento dello smarrimento (titolo dantesco, si chiarisce nella nota finale), con abbondanti riferimenti a Freud e al misticismo ebraico, e con un’ipotesi sulla morte di Franz Kafka fantasiosa e affascinante (da giardiniere, non più da assicuratore, e non più nella Mitteleuropa…), lontana dalla storia ufficiale. Il lettore non si faccia intimorire da quelli che sembrano andamento e argomenti difficili, da un apparente intellettualismo, da certe divagazioni – che comunque non distolgono dal percorso emotivo – ma si abbandoni e si goda lo spettacolo di una prosa in cui abbondano poesia ed emozioni (e anche umorismo nero, a dire il vero), in cui si sente, contemporaneamente, il canto antico degli shetel e la voce della più narrativa più contemporanea. Un viaggio in cui si va alla ricerca del senso della vita e dell’ignoto, un viaggio che vale la pena di fare. Se trovate un libro (La storia dell’amore non vale), scritto di recente, colmo di letteratura, dolcezza e malinconia e che vi apre universi a ogni pagina come questo, telefonatemi anche nel cuore della notte. Lascio alto il volume della suoneria, non rischio niente.
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