Un’illuminante ed emozionante distopia: ecco cosa è “Di ferro e d’acciaio”, ultimo libro della scrittrice lombarda che trasforma la Passione di Cristo in allegorica meditazione sulla contemporaneità. In un futuro regime totalitario un coro di voci femminili ricostruisce le ultime settimane di Jesus. La madre, Maria N, vestita di nero, lo cerca con la sua foto al petto
Di ferro e d’acciaio (187 pagine, 14 euro) di Laura Pariani è il romanzo con cui la NN ha inaugurato “CroceVia”, serie voluta da Alessandro Zaccuri per meditare su alcune parole della tradizione cristiana, radicate nel nostro humus culturale, nodali per decodificare le derive delle moderne società e per identificarne quei paradossi ad alto livello di tossicità dai quali urge una bonifica. Un disegno editoriale ambizioso per la casa editrice milanese. Un’opportunità da cogliere senza esitazioni per Laura Pariani, esplicitamente dichiaratasi interessata “ai libri che facciano riflettere, imperniati su grandi temi”, più che “alle piccole storie e i loro grovigli mentali che sono il nostro quotidiano” su cui si avvita certa produzione nostrana. Un impegno ripagato per entrambi, artefice del progetto e autrice, con un immediato, meritatissimo successo, dacché il romanzo si è aggiudicato la vittoria al Premio Mondello, sezione Opere Italiane.
La strada più potente ed evocativa
La parola intorno alla quale, rispondendo alla chiamata di Zaccuri, Laura Pariani ha costruito il suo Di ferro e di acciaio è “passione”. Passióne, dal latino pati: patire, soffrire: 1) Sofferenza fisica 2) sentimento intenso e violento. Tra le tante strade percorribili dall’autrice ve ne era una indubbiamente gigantesca, forse la più potente ed evocativa di tutte: rinnovare il racconto della Passione di Cristo – archetipo della più cruenta sofferenza fisica immaginabile, epilogo di un passaggio terreno vissuto come militanza totalizzante di sentimenti – trasformandolo in una allegorica meditazione sulla contemporaneità, all’orizzonte della quale si prefigura, sempre più evidente, il mito di una” vita tranquilla solo se non si esibiscono passioni”. La Pariani ha ideato allo scopo, con esiti pregevolissimi, un’illuminante e al contempo emozionante distopia.
Jesus e Maria N
Un coro di voci femminili ricostruisce le ultime quattro settimane di Jesus, un giovane dissidente del quale si sono perse le tracce in un regime totalitario futuro; in primo piano naturalmente il soliloquio di Maria N che, vestita di nero, per il suo peregrinare con la foto del figlio al petto, rimanda alle Madres de Plaza de Mayo, a cui fa da controcanto Lusine H 478, addetta alla sorveglianza, che spia la donna con un nano-drone. Nella moderna Galilea della Pariani, collocabile tra Milano e Torino, si sono insediati al governo gli Ingegneri sociali che hanno trasformato lo Stato in chiave liberticida, imponendo una rigida divisione in classi sociali e un’esistenza anestetizzata da qualsiasi moto passionale, basata esclusivamente sul più algido dei solipsismi, in cui non c’è neppure spazio per anziani e bambini.
Non il cambiamento, ma la fede
Il risultato della riforma, naturalmente, provoca un’involuzione dei costumi e della attitudini individuali tale che la gente finisce per “condurre una vita senza soprassalti. Quelli che hanno superato l’età della Fertilità Consentita passano le serate davanti alle pareti-tv senza vedere nulla all’infuori dell’inquilino della finestra di fronte, che se ne sta lì seduto a rincretinirsi davanti al notiziario pure lui. E un giorno entreranno nella Torre del Tramonto pieni di amarezza, scontenti di aver vissuto una vita grigia e noiosa, senza che mai sia passato loro per la testa di alzarsi un momento e andare a guardare almeno la strada accanto”. Eppure, poiché è sempre vero che “la nostra vita confina con le altre”, e “siamo tutti coinvolti”, l’esempio di un uomo, nel nostro caso Jesus, può generare, non già il cambiamento, che” non si insegna”, bensì la fede che la vita degli umani sia “uno spazio in cui ricordare, progettare, capovolgere con un sogno la piatta normalità”, in una parola, far rinascere la speranza da cui, infine, il cambiamento può generarsi.
Paura e sofferenza ma senza le insidie del Nulla
Di ferro e d’acciaio è un gran bel romanzo, sotto tutti i punti di vista.
Oltre – si fa per dire – alla trama, la cui validità e i cui pregi sono indiscutibili, colpiscono altrettanto positivamente le scelte operate dall’autrice riguardo al genere e alla lingua.
“L’importante non è ciò che succede, ma il fatto che venga raccontato e soprattutto il modo in cui viene raccontato”, pensa, ad un certo punto, Lusine H 478.Qual è, dunque, la maniera più adatta alla narrazione del contemporaneo? Stando all’alta qualità del libro che abbiamo tra le mani, emergono lampanti le possibilità ed i meriti della distopia, genere facilitato dalla visionarietà che lo contraddistingue, nel consegnare alle pagine la vera essenza di quella post realtà in cui, avendo esaurito tutte le opzioni del reale, già brancoliamo.
Egregia, infine, la lingua che la Pariani fa parlare alle sue donne: una commistione felice di italiano, latinismi e dialetto lombardo che crea il necessario collegamento tra l’ambientazione futurista e il presente di riferimento, regalando una profondità maggiore all’interpretazione allegorica della storia come esortazione a modificare i modelli sociali.
“Certo la Passione (…) fa paura, produce sofferenza: eppure nello stesso tempo vanifica le insidie di questo Nulla da cui ci si sente oppressi“.
È questo il distillato che ci regala Di ferro e di acciaio. La verità che la Pariani ci consegna in questo splendido vangelo apocrifo a futura memoria, in questo nuovo sensazionale “stabat mater“, di cui vi consiglio vivamente la lettura.