L’idea perpetua di viaggio ed esplorazione, incarnata da Rimbaud e da quattro personaggi contemporanei che tornano in Colombia, è al centro dell’ultimo romanzo dello scrittore, “Ritorno alla valle oscura”. L’ennesimo capitolo di un autore che forse ha smesso di fare i conti con se stesso e con le proprie origini. Come i suoi personaggi tornato a casa, in fuga da un’Europa ferita e impaurita, in piena crisi economica e politica
Non un semplice affabulatore, ma un artista vero, dalla vita girovaga, figlio di uno storico e antropologo e di una nota pittrice, con una vita da romanzo e romanzi che non bisogna lasciarsi scappare, nel corso di una vita. Uno scrittore (editorialista di peso in patria) che non smette di fare i conti con se stesso, ma che forse ha finito di farli con la terra in cui è nato, la Colombia, da cui è stato lontano decenni e dove è ritornato a vivere da qualche anno. Santiago Gamboa, classe 1965, in Italia è uno dei segreti meglio nascosti nelle librerie, sebbene dopo i primi titoli pubblicati da Guanda, forse senza la giusta convinzione, un altro editore, e/o, abbia scommesso forte su di lui. C’è un progetto su di lui, c’è un traduttore di lungo corso e sicuro affidamento come Raul Schenardi, eppure la diffusione delle sue opere non ha il ritmo vertiginoso di vendite in Colombia e in altri paesi del Sud America.
Quattro personaggi e Rimbaud, una specie di Ulisse
L’auspicio è che l’inversione di tendenza arrivi con il suo più recente romanzo, Ritorno alla buia valle (464 pagine, 19 euro), un concentrato di azione e iperrealismo (non magico). Gamboa è un “puparo” dalle mille mani, che tira fili e tesse le fila di una trama caleidoscopica, fra Europa, Sud America e Africa. Quattro anime (due delle quali protagonista di un precedente e altrettanto bello romanzo di Gamboa, Preghiere notturne) si ritrovano a Madrid, contemporaneamente a un eclatante (immaginario ma verosimile) attacco terroristico di estremisti islamici (Boko Haram) e da lì partiranno alla volta della Colombia, dove tutti hanno conti in sospesa. La Colombia di Gamboa è in qualche modo (ma non del tutto) un paese pacificato, da contrapporre a un’Europa ferita, impaurita e tormentata, in piena crisi politica ed economica. Un ex console colombiano, la voce narrante, e l’enigmatica Juana Manrique sono i volti già noti ai lettori di Gamboa, l’argentino Carlo Melinger (detto Tertuliano, che sostiene d’essere il figlio di Bergoglio, ha trascorsi in gruppi neonazisti, finendo per avere un ruolo chiave) e Manuela Beltrán, poetessa di Calì (dal passato travagliato e in cerca di vendetta) sono i volti nuovi. Accanto a protagonisti immersi nel nostro presente – c’è anche Ferdinando Palacios, ex paramilitare pentito – tutt’altro che secondario è il poeta maledetto Arthur Rimbaud e quel che rappresenta, l’idea perpetua di viaggio ed esplorazione intrecciata alla poesia, una specie di Ulisse contemporaneo. Questi sono i concetti chiave del romanzo, oltre a quello del ritorno a casa e del tempo che scorre.
Chiudere i conti col passato
Anche il precedente romanzo di Gamboa, Una casa a Bogotà, dava la sensazione di essere il finale di una lunga odissea personale, la fine di un viaggio nel mondo, che non s’esauriva, anzi continuava sotto altre forme, un viaggio nei ricordi, un ritorno agli aneddoti dell’infanzia e della gioventù. Ed è così anche in Ritorno alla buia valle, che sembra con certa sua spensieratezza narrativa (intrighi, coincidenze, spostamenti ai limiti della coerenza…), chiudere davvero i conti con il passato e magari annuncia una fase nuova nella narrativa dello scrittore colombiano. Il romanzo corale, polifonico e ambizioso che Gamboa ha costruito funziona maledettamente bene.