Con “L’estate del ’78” lo scrittore palermitano, sul filo dei ricordi, fa i conti con se stesso e con la fine della madre, riempiendo vuoti e tornando su un tema che in letteratura è vasto e tempestoso. I genitori diventano personaggi per cui non nutrire indulgenza, ma non è così fino in fondo, in un memoir bello e dolente
Il tema della madre in letteratura è vasto e tempestoso. Senza affondare la memoria dall’antichità al diciannovesimo secolo, gettando lo sguardo anche solo appena a qualche classico moderno, tra conflitti laceranti e amori struggenti, tra deliri e dolori, c’è di che restare estasiati, smarriti, confusi, segnati e c’è più di qualche lettura imprescindibile; un breve catalogo? Lettere a mia madre di Simenon (Adelphi), Infelicità senza desideri di Handke (Garzanti), Autobiografia di mia madre di Kincaid (Adelphi), Un altare per la madre di Camon (Garzanti), Cuore di mamma di Rosa Matteucci (Adelphi), Mia madre è un fiume di Donatella Di Pietrantonio (Elliot) e L’invenzione della madre di Marco Peano (Minimum Fax).
Una memoria rinvenuta e in parte reinventata
Chissà che Roberto Alajmo, nei quarant’anni in cui ha fatto macerare dentro di sé le sue nuove pagine, non abbia più o meno inconsapevolmente dato un’occhiata a certa bibliografia, a cui si possono ascrivere anche i recentissimi Tra loro di Richard Ford (Feltrinelli) e Leggenda privata (Einaudi) di Michele Mari, che però si nutrono non solo delle madri, ma anche dei padri. O, semplicemente, il giornalista e scrittore palermitano si sia lasciato guidare solo da riflessioni intime e da ricordi propri, da una memoria rinvenuta e in parte reinventata, da domande lunghe una vita, da un vuoto da riempire.
Al cuore della madre
Il suo romanzo più noto è, probabilmente, Cuore di madre, con cui è arrivato in finale al premio Strega ed è finito nella rosa del selezione Campiello, sfiorando in entrambi i casi la vittoria finale. Stavolta, col suo libro più recente, Alajmo va al cuore di sua madre. Non ha resistito nemmeno lui all’autofiction che va per la maggiore e ha scritto L’estate del ‘78 (173 pagine, 15 euro), memoir pubblicato nella collana Il Contesto – che accoglie scrittori notevoli come Couto, Usòn, Zambra, Lerner, Stassi, Heti e Yanagihara – della casa editrice Sellerio.
L’esaurirsi di un amore
Esita, cincischia, Alajmo, il lungo commiato da sua madre che è questo libro sembra non arrivare mai, s’interrompe spesso, riprende, s’inceppa ancora: in mezzo c’è altro, la morte del padre Vittorio, il rapporto col figlio Arturo (fra Springsteen e l’Inter), remote memorie familiari che hanno a che fare con la colonizzazione dell’Etiopia ai tempi del fascismo, riflessioni sulla terza età e sulle gioie perdute e irrecuperabili, c’è spazio perfino per un mini repertorio di ‘nciurie di Bisacquino, prima di arrivare al dunque, cioè a un’indagine indiziaria sull’esaurirsi di un amore, quello tra i due genitori, e soprattutto sulla fine della madre, Elena («Da giovane somigliava un po’, e si sforzava di assomigliare, a una Audrey Hepburn più formosa»).
Un distacco che è forma, non sostanza
La voce narrante del figlio, sulla pagina, chiama sempre i genitori «Vittorio ed Elena», «per parlarne – spiega – col maggiore distacco che si deve ai protagonisti di un’opera d’artificio. Sono i miei personaggi, non posso e non voglio avere indulgenza». L’addio alla madre, quasi senza parole, si consuma vicino a una panchina, a Mondello, in quelli che per il poco più che maggiorenne Alajmo erano i giorni di vigilia dell’esame orale per la maturità. Ne L’estate del ‘78 affiorano ricordi e s’intrecciano ricerche sulla madre: saltano fuori polsi fasciati, barbiturici e ricoveri, probabilmente trattamenti con elettroschock, e un finale implacabile, «l’ultima vanità, di pavesiana memoria». Le tessere tornano a posto, tutto è compiuto. Per fare i conti con se stesso, Alajmo si scava a fondo, scrive il suo libro più intimo, di gran lunga il più dolente e bello. Il distacco del narratore è solo forma, non sostanza. (Questo articolo è stato pubblicato sul Giornale di Sicilia)