L’artista diventa opera, fulminante César Aira

“Il pittore fulminato” è un breve ma potentissimo romanzo del grande scrittore argentino. Fa il verso al didascalico racconto biografico del tedesco Johan Moritz Rugendas, poi racconta le conseguenze fisiche e psicologiche di un incidente, che cambia tutto, facendogli vivere una comunione totale con terre e uomini

César Aira, discepolo non fedele dell’ultravanguardista Osvaldo Lamborghini, voleva mettere a soqquadro la letteratura argentina, e non solo. E sembra esserci riuscito, almeno da quanto emerge dai titoli tradotti in italiano. Pochi, pochissimi rispetto alla sua sterminata bibliografia. L’impulso maggiore, negli ultimi anni, è arrivato dalle edizioni Sur, dopo che Feltrinelli e prima ancora Bollati Boringhieri (su input del mitico Angelo Morino, che tradusse Ema la prigioniera) avevano provato a far sbarcare questo argentino “irregolare” nel nostro Paese, autore super prolifico in patria, per editori noti e misconosciuti, e in precedenza, a lungo, traduttore autodidatta di livello.

Una beffarda parodia

Non bisogna accostarsi ad Aira (più di cento libri in circa quarant’anni) come a uno scrittore per pochi eletti: è un innovatore senza eccessi, è uno scrittore libero, che tiene conto del suo gusto (come ogni buon autore dovrebbe fare…), di cui non avere timore, tanto più che la sua scrittura è piuttosto pulita e semplice; va abbracciato con convinzione perché può regalare momenti molto intensi di lettura. Come spesso capita con i suoi libri anche nel suo Il pittore fulminato (93 pagine, 16 euro), che appare in Italia venticinque anni dopo la pubblicazione in Argentina, l’avvio può trarre in inganno: nello specifico sembra prefigurare un didascalico racconto biografico, a sfondo storico, di un artista del diciannovesimo secolo, ma finisce per esserne una beffarda parodia; le prime pagine di questo romanzo (pubblicato da Fazi in una pregevole edizione, con la traduzione di Raul Schenardi e un’introduzione di Roberto Bolaño) o meglio il loro tono sarà, dunque, velocemente sgretolato per far posto a qualcos’altro.

Tra le Ande e la pampa

Chi è il protagonista del romanzo di Aira? Un pittore realmente esistito nell’Ottocento, già bambino prodigio, erede di una dinastia d’artisti specializzati nel ritrarre battaglie, un giovane uomo “fregato” dalla pace duratura che seguì alla sconfitta di Napoleone a Waterloo. Lui è il tedesco Johann Moritz Rugendas, di Augusta, influenzato dalle teorie di Von Humboldt sulla “fisiognomica della natura”, che decide di riparare in America Latina per seguire la propria vocazione artistica. In sua compagnia c’è Krause, amico pittore meno talentuoso. Esplorare la pampa, lasciandosi alle spalle lo spettacolo della Cordigliera delle Ande, sulla strada per Buenos Aires costa carissimo a Rugendas che, in groppa al suo cavallo, viene colpito due volte da un fulmine. Le conseguenze più evidenti dell’incidente sono le ferite al viso, un volto sfigurato, e qualche problema alla vista, ma a cambiargli la vita sono le fortissime emicranie e la morfina che gli terranno compagnia dopo la prima convalescenza.

Ritrovare una “battaglia”

Rugendas, che nulla conosce dell’amore, finirà per nutrirsi di altri sentimenti, di comunione con la natura e non solo, diventando un tutt’uno col nuovo Mondo. Non l’europeo estraneo agli indigeni, ma un loro sodale: nella vita di tutti i giorni e nell’arte, negli schizzi e quadri che egli stesso realizza, facendosi in qualche modo opera d’arte. Per paradosso ritorna alle origini, trova una sorta di “battaglia” da rappresentare, quello che in Europa gli era stato… strappato. L’occasione arriva dal cosiddetto malòn, ovvero una scorribanda di indios che, con le cattive, non esitano a prendere bestiame e donne dei bianchi. In questo caotico frangente, l’antieroe di Aira annulla qualsiasi distanza con le terre incontaminate e selvagge in cui ha scelto di vivere gran parte della propria esistenza. Lo scrittore argentino è molto convincente nel creare un racconto originale e che non sembra avere dentro di sé l’eco di nessuno (tranne forse un pizzico di Gabo, quando il pittore crede di immaginare gli ospiti dell’ospedale di San Luis come animali demoniaci, e sono così in realtà…). Editori, continuate così, restituiteci in italiano altri pezzi di Aira.

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