Dopo tanti racconti Luca Ricci approda al primo romanzo, “Gli autunnali”, dedicato alla sua fonte d’ispirazione, Guy de Maupassant. Con uno stile secco e asciutto, racconta le ossessioni di un cinquantenne che, per scampare alla noia della vita coniugale e all’inesorabile trascorrere del tempo, s’innamora di un fantasma
Il protagonista del primo romanzo di Luca Ricci, Gli autunnali (224 pagine, 17 euro), pubblicato dalla casa editrice La nave di Teseo è uno scrittore di mezza età, appartenente ai salotti borghesi romani e impigliato in un matrimonio routinario con Sandra, una donna ancora bella e desiderabile. Imprigionato in una vita che scorre lenta tra il susseguirsi delle stagioni, l’unica certezza è il ritorno dell’autunno ed è proprio a settembre, il mese in cui la città abbandona le follie estive e si avvolge nei colori caldi che, tra i libri di un mercato rionale, trova la fotografia di Jeanne Hébuterne, l’amante di Amedeo Modigliani. Il fremito, lo stupore per una “pelle bianchissima e uno sguardo che quasi metteva paura” si trasformano, ben presto, in un’ossessione che finisce per spezzare la monotonia amorosa, sempre più opprimente, della vita coniugale. Un volume acquistato per pochi spiccioli suscita nel narratore “quell’allegria insensata che prende dopo un colpo di fulmine” e lo trasforma in un uomo psicotico, capace, però, di scavare nella profondità degli esseri umani, della coscienza e delle ossessive nevrosi.
Amore e disamore
Il fragile equilibrio che regola la quotidianità della vita coniugale è destinato a spezzarsi quando irrompe il fantasma di Jeanne. La smania, il pensiero fisso per il nuovo amore celano, però, un’ossessione più profonda, quella per il disamore: la paura che tutto possa cambiare quando la persona con cui si condivide la vita diventa il nemico intrappolato tra le mura di una casa-prigione; la solitudine che si avverte maggiormente nel dialogo, nella condivisione e nello stare insieme; il timore di venire inghiottito dall’abitudine di un rapporto che avvelena l’anima. Da qui nasce il desiderio di un terribile amore nuovo, l’unico elemento in grado di destabilizzare l’ordinario. Per scampare a una vita sempre più decadente, al tempo che scorre inesorabile, non è sufficiente il sesso fine a se stesso, quello adulterino o mercenario: serve innamorarsi, anche di un fantasma.
L’ossessione dell’amore non era niente al confronto dell’ossessione del disamore, solo che al confronto della prima la seconda era pura sconfitta, fallimento, annichilimento.
L’ossessione si materializza
L’autunno è la stagione che esiste per insegnarci come lasciare le cose ormai morte, ma non è così per il protagonista del romanzo che, irrazionalmente, si fa travolgere dalla superstizione, dalla convinzione che il fantasma di Jeanne aleggi e sorvoli sul suo corpo e quello di sua moglie durante la copulazione, al punto da pensare che il nuovo amore ricambi i suoi sentimenti e mandi segnali dall’aldilà. Il protagonista è alla ricerca spasmodica di tali segnali: non si separa mai dalla fotografia, cerca risposte nella fiammella di una candela, riguarda i ritratti di Modigliani, fino al giorno in cui nella sua vita compare una donna, Gemma, uguale a quella ritratta nella fotografia venerata come una reliquia. Gli appare la reincarnazione vivente dell’amante del pittore (in realtà una cugina di Sandra) e, da quel momento in poi, la sua ossessione si materializza, segue gli istinti e le pulsioni che lo spingono all’adulterio: anche lei fidanzata con un pittore “maledetto”, anche lei incinta, come la giovane nel momento in cui si era suicidata per il dolore della morte di Modì.
Non m’importava neppure d’approfondire il senso di quei sentimenti, non volevo sciuparli con la lucidità. L’amore si dimostrava da sé, era un fenomeno auto- evidente e disprezzava le argomentazioni e anche le analisi e pure i dibattiti: si amava perché sì.
L’autunno, assenza di clorofilla nelle vene
Vero protagonista del romanzo è il tempo che trascorre lento, tra il susseguirsi delle stagioni, e che rivela una verità quasi indicibile: con il suo passare, l’amore non è più tale. Gli esseri umani si suddividono a seconda della stagione: ognuno di noi ne incarna una “e durante lo scorrere delle altre non fa che aspettare che torni la propria”. Il narratore è un autunnale, un uomo che non ha più clorofilla nelle vene perché l’autunno, in quanto stagione di transizione, rappresenta un momento di stallo, di silenzio ritrovato, di solitudine e nostalgia; descrive anche la decadenza e la superficialità della borghesia dei salotti romani e crea un parallelismo con la vita di scrittore del protagonista che si chiede, insieme all’amico Gittani, quale senso abbia scrivere ancora romanzi. L’autunno è più uno stato d’animo che una stagione, per rievocare le parole di Nietzsche
“Ecco il compito del romanziere, inventare la realtà.” Ci rifletterei per qualche istante. “E le nuove generazioni in che romanzi vivranno visto che noi non ne scriviamo più?” “Alle nuove generazioni non interessa la realtà, e forse hanno ragione”.
Roma, città di illusioni
Altra grande protagonista del romanzo di Ricci è la città di Roma. Le descrizioni romane del protagonista sembrano evocare i versi del poeta russo Josif Brodskij (“Il Colosseo è come il teschio di Argo: nelle occhiaie vuote gli nuotano le nubi, ricordo dell’antico gregge”) o le parole di Ennio Flaiano (“Roma ha questo di buono, che non giudica, assolve”). L’autunno romano è l’emblema di un uomo che perde il senso della logica, si sottomette agli impulsi e alle ossessioni e s’illude di scacciare lo spettro della morte, a cui il trascorrere del tempo lo avvicina, grazie a un nuovo amore che, però, è legato alla morte indissolubilmente.
Maupassant, più vivo dei vivi
Tra le pagine di Ricci domina Maupassant: nelle citazioni in epigrafe, nei titoli dei capitoli e nei personaggi del romanzo s’avverte il racconto La chioma, “governo ombra” del libro, per usare le parole dell’autore nella nota finale. Anche tra le pagine dello scrittore francese il protagonista perde il senno a causa del contatto con una chioma di donna ritrovata nello scomparto segreto di un mobile. Ricci ripercorre lo stesso rapporto tra amore e morte e il realismo che nasce dal disgusto nei confronti dell’ipocrisia del mondo borghese, utilizza lo stesso stile secco, sintetico che ha contraddistinto lo scrittore francese e dimostra la sua maestria nella costruzione dell’intreccio che resta imprevedibile fino alle ultime pagine. La grande lucidità nello sviluppare i temi gli consentono di descrivere in modo straordinariamente incisivo le ossessioni di una vita intera.