La scrittrice belga ha presentato il suo nuovo romanzo a Milano, Palermo e Roma. In “Colpisci il tuo cuore”, pubblicato come sempre da Voland (“La mia fedeltà? Sono davvero leale in tutto”), torna un particolare e problematico rapporto madre-figlia. “Le mie letture italiane? Adoro la Ferrante”
Diciotto milioni di copie vendute nel mondo in un paio di decenni, traduzioni in 45 paesi e una fama di scrittrice di culto, con un pubblico trasversale. Niente male per Amélie Nothomb, per la sua opera letteraria estremamente varia, per forma e contenuti, e per una scrittura vissuta molto intimamente, sembra, come un tentativo di costruire se stessa e liberarsi di se stessa. Il nuovo smilzo romanzo della scrittrice belga, Colpisci il tuo cuore (128 pagine, 15 euro), tradotto da Isabella Mattazzi, promette fuochi d’artificio come tutti i suoi libri, esili nella forma, robusti nei contenuti. E nella sua recentissima tre giorni in Italia (tappe a Milano, Palermo e Roma), in cui è stata accompagnata da Daniela Di Sora, fondatrice di Voland, Nothomb ha abbracciato, fra trasporto e divertimento, quei lettori che da anni l’hanno adottata.
Nothomb, quanto le piace essere tanto amata e discussa? Quanto gioca col suo personaggio, con verità e leggende che circolano sul suo conto?
«Non è un’ossessione, essere amata. Quello che mi ossessiona è far sentire la mia voce nei miei libri, creare un’opera forte. Le voci che girano sul mio conto mi interessano poco».
Ironica, beffarda, inquietante, sradicata, narcisista, spiazzante. In quale di questi aggettivi si ritrova di più?
«Sradicata. Il più grande choc della mia vita è stato essere stata strappata al Giappone e alla braccia della mia tata giapponese, quando avevo cinque anni».
Scrive più di un libro l’anno, ne pubblica uno, gli altri li mette da parte. E ha deciso che i tanti inediti non saranno pubblicati nemmeno postumi, perché?
«L’obiettivo principale della scrittura non è la pubblicazione, ma la ricerca di un suono. Nella musica, i silenzi sono importanti così come le note. È qualcosa che sarà vera anche dopo la mia morte».
In Metafisica dei tubi, uno dei suoi romanzi più noti, scrive: “Vivere è rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell’orifizio del lavandino”. Lo ritiene un concetto attuale?
«Si, sempre di più. L’accettazione dell’assurdo sembra essere oggi un passaggio obbligato».
In Francia pubblica da sempre con la casa editrice Albin Michel e in Italia con Voland, nonostante proposte economiche più vantaggiose. È così fedele anche nella vita?
«Sono davvero leale in tutto. Nel lavoro, nell’amicizia, nell’amore, allo champagne!».
Non solo scrittrice prolifica, ma lettrice compulsiva. Come sceglie le sue letture? Legge italiani contemporanei?
«Sto leggendo Les Deraisons di Odile d’Oultremont. Per quanto riguarda la letteratura contemporanea italiana, come tutti, ho letto e adorato Elena Ferrante. Scelgo le mie letture sulla base del semplice gusto e desiderio, ma a volte solo perché ricevo libri».
Nel suo penultimo romanzo, Riccardin del ciuffo, rivisitazione moderna di una favola di Perrault, per una volta, in una sua storia, l’amore (che il più delle volte ha raccontato come un disastro…) trionfa. Ha cambiato idea rispetto al passato?
«No. Ma é una statistica: il 6% delle storie d’amore non finiscono in catastrofe».
Nel suo ultimo romanzo, Colpisci il tuo cuore torna uno dei suoi temi più forti e ricorrenti, quello di un particolare rapporto madre-figlia. Perché?
«Sono sempre stata ossessionata da mia madre, una donna molto bella e affascinante». (Questa intervista è stata pubblicata in versione leggermente diversa sul Giornale di Sicilia)