La narrazione di un delicato rapporto genitoriale è al centro de “La manutenzione dei sensi” di Franco Faggiani. In una baita della val di Susa il giornalista vedovo Leonardo e il giovane Martino, affetto dalla sindrome di Asperger, riescono a costruirsi un senso e a trovare la serenità
Dopo aver trascorso una vita in giro per il mondo a fare il giornalista, Leonardo Guerrieri prende la decisione: trasferirsi da Milano, la grande città caotica, alla Valle di Susa, dove tra il ricordo della moglie morta e l’ambizione di un futuro di serenità e silenzio decide di restaurare un rudere, che diventerà così una confortevole baita di montagna. Inizia così La manutenzione dei sensi (250 pagine, 16 euro) di Franco Faggiani, pubblicato dall’editore Fazi. Una sorta di esilio, verso un Piemonte montano, una natura lussureggiante ma anche ostile per chi non la sappia onorare e rispettare, e una grande metafora letteraria che racconta il salvataggio di un’esistenza, anzi di due.
Rimasto vedovo, Leonardo ha infatti con sé una figlia spumeggiante, Nina, impegnata nel lavoro, che presto la porterà negli Stati Uniti, e nel sociale. Ecco perché è proprio Nina a decidere di prendere in affido un bambino senza genitori. Fa così il suo ingresso nella storia Martino, 8 anni e davanti un futuro incerto, vuoi l’affido temporaneo in casa Guerrieri, vuoi che, dopo qualche anno, si scopre che è affetto dalla sindrome di Asperger.
Ma questa storia è tutto tranne che un cliché. Perse di vista le pratiche di affido, lasciata alle spalle Milano, dalla Val di Susa Leonardo e Martino iniziano una nuova esistenza. Nella baita hanno ciascuno una propria stanza, e vivono insieme come un padre e un figlio, senza che questa relazione venga mai esplicitata, senza invadere gli spazi reciproci, alla ricerca costante, invece, di un equilibrio, una serenità.
La sindrome che c’è, ma non si vede
Dopo la prima, ragionevole, preoccupazione per la sua sindrome, Leonardo impara a gestire la “particolarità” del bambino poi diventato adolescente e ragazzo. Quando si trasferiscono in Piemonte Martino ha infatti 14 anni e da tempo è stato visitato da uno specialista che non ha sancito alcuna problematica, anzi ha ricordato al padre adottivo come tanti artisti e geni noti nel mondo avessero l’Asperger.
È una questione di equilibrio, di ricerca. Martino mal sopporta i gesti di affetto espliciti e i contatti, Leonardo ama la solitudine e il silenzio: è in questa bolla che i due si incontrano e imparano reciprocamente a capirsi. Ma Martino è anche un ragazzino di viva intelligenza: eccelle a scuola, tanto da ottenere il diploma un anno prima, e vorrebbe iscriversi a un’università di design. Accanto alla sua mente brillante affianca l’attività manuale, che nel rifugio della vita di montagna può trovare vigore. È lui infatti ad accudire le bestie e seguire l’orto, e ad appassionarsi alla lavorazione del legno. Ed è grazie all’amicizia speciale con il vecchio montanaro Augusto Bremond, solitario e silenzioso, che il ragazzo trova una sua dimensione, e costruisce la propria vita affianco a Leonardo, lontano dalla chiassosa città, teso all’essenziale, a ciò che lo rende sicuro e felice.
Un doppio percorso interiore
La montagna ha del resto un ruolo da protagonista in questa storia scritta da Faggiani che, a ben guardare, è la narrazione di un delicato rapporto genitoriale, anche se non formalmente disegnata come tale. La montagna è silenziosa, richiede rispetto, i suoi segni vanno letti, interpretati, curati con attenzione. Un imparare a capire che diventa, nel rapporto in costruzione tra Martino e Leonardo, un imparare a capirsi. Un luogo che rispecchia e si rispecchia in due personaggi particolari, e forse simili, talvolta sintonizzati su frequenze vicine, talvolta disposti a scendere a patti per rimodularsi, e capirsi.
Contrappunto alla socialità rarefatta e utile alla crescita e al consolidamento del rapporto tra Martino e Leonardo è Nina, una valanga di vita, colei che innesca le trasformazioni rivolgendosi alla vita stessa, e non restandone cautamente al margine come prediligono invece Leonardo e Martino. La montagna, ai due, servirà anche a questo, a trovare una socialità speciale, fatta di pochi intimi amici con cui scambiare profondo e sincero affetto, e fiducia.
«La famiglia, la nostra almeno, tiene sempre le porte aperte e la stufa accesa per un caffè caldo, accoglie tutti coloro che si vogliono bene e si aiutano o vogliono solo riposarsi per un po’. È come un piccolo rifugio fuorimano, un posto sicuro anche per chi qualche volta decide di andare via e poi ritornare».
In questa sicurezza cresce e germoglia, stagione dopo stagione, nelle pagine di Faggiani, il percorso interiore dei due, che si fa doppio nell’incrocio delle esistenze diverse, sempre in ascolto l’una dell’altra, con defilato riserbo e bisogno di conoscere sé e l’altro. Entrambi tendenti alla solitudine, Martino e Leonardo rispettano i confini reciproci lasciando sbocciare, sotto sotto, un affetto capace di scaldare, e di commuovere il lettore.
«La serenità è una giornata alla volta»
Il ritorno alla natura, maestosa e insieme semplice, essenziale, risponde a un’esigenza di rallentamento, di profondità: i sensi si ravvivano, si impara – ancora e di nuovo – a stare nel mondo, con gli altri. Di questo ha bisogno Leonardo, per ritrovare un suo posto, ma a questa atmosfera semplice, di cose piccole ed essenziali, di magia della neve solcata dalle orme degli animali e calore di stufa a legna attinge anche Martino.
Solo così può costruirsi l’affetto tra un padre e un figlio, due storie difficili che si trovano un giorno insieme, e insieme riescono a costruirsi un senso, trovando una serenità che sembrava compromessa tra l’asfalto e i palazzi. Invece abita ancora là dove la natura si srotola nel ritmo cadenzato delle stagioni, nell’essenzialità dei gesti e degli affetti. I fronzoli non piacciono né a Leonardo né a Martino, amareggiato dal lutto il primo, schivo per indole il secondo. E l’essenziale, in questo romanzo di Faggiani, è molto visibile agli occhi, basta camminarci dentro, osservandone con i sensi accesi ogni particolare, per far ripartire il cuore, dare nuova luce alle relazioni.
«Le ore di cammino nella notte erano le preferite di Martino. Nessuna domanda, nessuna parola, solo occhi spalancati, piccoli gesti e passi misurati per non fare rumore; inizialmente impacciati poi sempre più fluidi, naturali fino a essere parte di quel momento e di quell’ambiente. Come i rami sottili d’arbusto che tremolano al vento lieve, un cumulo di neve che diventa liquido e trasparente e si immerge nella terra, un pipistrello in caccia che sfreccia silenzioso tra gli alberi. I nostri sicuri cammini notturni, ben diversi da certi nebbiosi e inquietanti ritorni a casa nelle serate milanesi, erano contemplati da Martino come “la manutenzione dei sensi”.»