Un piccolo saggio, quello dello scrittore americano, sulla disarmante scoperta che la solitudine è l’unica certezza, un dolore inevitabile, da sconfiggere solo con una vita d’amore, secondo gli insegnamenti di Cristo
Tra i grandi romanzieri americani Thomas Wolfe rimane poco conosciuto in Italia, nonostante il suo stile abbia influenzato Jack Kerouac e abbia goduto dell’ammirazione di numerosi scrittori quali Faulkner, che lo considerava uno dei più talentuosi della sua generazione, o Edward Bunker che, spesso, lo citava nelle sue opere. I romanzi e i racconti di maggiore successo sono stati tradotti per Mondadori tra il 1949 e il 1962: per citarne alcuni, Il fiume e il tempo, traduzione di Cesare Vivante, 1958; Non puoi tornare a casa, traduzione di Ettore Capriolo, 1962. Nel 2014 l’editore Elliot ha pubblicato la prima versione inedita del suo romanzo di esordio, O lost. Storia della vita perduta, scritto a ventisette anni.
Recentemente la casa editrice Urban Apnea ha pubblicato nella collana Teoria Olografica il piccolo saggio Anatomia della solitudine (28 pagine, 4 euro), nella traduzione di Dafne Munro, opera con la quale lo scrittore si ripropone di “descrivere l’esperienza umana della solitudine proprio come io l’ho conosciuta”.
La solitudine, esperienza centrale
Attraverso una scrittura intima e profonda, Wolfe pone l’uomo di fronte al mistero della solitudine, unica certezza che ne regge l’esistenza in quanto essenza della vita. Tutti soffriamo la medesima pena, lo dimostrano le innumerevoli e laceranti parole di odio, disprezzo e sdegno che lacerano, violentano i nostri timpani quando attraversiamo le strade. La causa finale di ogni dolore è la solitudine, sostiene lo scrittore americano, che è sempre stata l’esperienza centrale di ogni uomo.
Noi che ci agitiamo nella profondità della solitudine siamo sempre vittime delle nostre insicurezze
Dio, panacea di tutti i mali
Per affrontare la sofferenza della solitudine, l’uomo “dovrebbe avere la fiducia di Dio, la tranquilla fede di un santo e l’inattaccabile tenacia di Gibilterra” perché, senza queste, anche gli accidenti più banali, le parole più causali possono strappare la corazza che protegge l’uomo, anestetizzare la sua anima, composta da fame, rabbia e desideri irrealizzabili. Wolfe conosce la sensazione di isolamento come se fosse una sorella e, per questa profonda conoscenza e consapevolezza, sente la disperata esigenza di mettere in guardia l’umanità dal fatto che l’unica costante della vita di un uomo non è l’amore, ma la solitudine.
Ho conosciuto la Solitudine molto bene, come ogni uomo del resto, e ora scriverò di lei come se fosse mia sorella. E lei lo è. La descriverò per voi nella sua intima natura con tanta precisione e fedeltà che nessun uomo che leggerà potrà mai dubitare di riconoscerne il volto quando gli si presenterà davanti.
L’uomo solitario ama la vita
Lo scrittore pone l’uomo dinanzi la sua condizione di essere solitario, ma, allo stesso tempo, gli rivela una delle scoperte più folgoranti della sua esistenza, una scoperta diventata parte fondamentale della sua vita: “l’uomo solitario, che è anche un uomo tragico, è senza dubbio anche l’uomo che ama la vita a caro prezzo ed è anche un uomo gioioso”, perché una condizione implica l’altra, la rende necessaria, senza cadere nel paradosso. Molti scrittori tragici, quali Giobbe, Sofocle, Dante, Dostoevskij, sono stati uomini solitari, ma che hanno amato la vita e che, da tale amore, hanno tratto un profondo senso di gioia.
Le Sacre Scritture
La scoperta di Wolfe trae origine dal Libro di Giobbe e dall’Ecclesiaste che rappresentano l’espressione più tragica, sublime e filosofica della solitudine umana perché evocano nei pensieri associazioni angoscianti, oscure e tristi e rappresentano“la letteratura più esaustiva e profonda sull’argomento che il mondo abbia mai conosciuto”. Ma un lettore intelligente ed esperto che li abbia letti in età matura si renderà conto di come sia “culla di una poesia immensa” il testo in cui Giobbe canta il suo dolore, ma anche la sua gioia, una gioia che trae profitto dalla sofferenza, dalla solitudine e dall’ossessione della morte. Prenderne atto rende liberti dal dolore. Un dolore che può essere sconfitto per sempre con una vita d’amore, secondo gli insegnamenti di Cristo.
Articolo molto interessante.
Rispecchia a pieno l’autore