Bourdeaut, l’allegria perenne e i demoni interiori

“Aspettando Bojangels” di Olivier Bourdeaut è la storia dolceamara di una famiglia eccentrica, della malattia mentale di una donna, dello sguardo stupito e ironico di un bambino, è la contrapposizione fra il non prendersi sul serio le responsabilità, fra la spensieratezza e i dolori della vita adulta

Non è un romanzo autobiografico, pare, ma sarebbe interessante scoprire quanto della vita del francese Olivier Bourdeaut, autore rivelazione, è rimasto impigliato negli undici capitoli che lo compongono: i lettori sono un po’ curiosi, si sa… Il libro in questione è Aspettando Bojangels (141 pagine, 12 euro), tradotto da Roberto Boi, che dopo il successo a sorpresa anche in Italia, nell’edizione Neri Pozza, viene felicemente riproposto nel catalogo Beat, in una bella versione economica ma rilegata, che riprende la copertina transalpina: un’occasione per leggere o rileggere una storia in cui leggerezza e profondità sono sapientemente intrecciate, in un raro mix di allegra e follia, a caccia di sorrisi e lacrime.

Un vinile e una gru

Un intreccio inevitabile se si pensa che al centro della narrazione di Bourdeaut c’è una famiglia molto particolare e ci sono una storia d’amore e la malattia mentale. Il bambino che racconta la storia si sofferma sui due eccentrici genitori, sulle feste che organizzano e che si concludono sempre all’alba, sulle giornate trascorse a ballare sulle note di Mister Bojangles di Nina Simone, un vinile sul giradischi, un brano al tempo stesso allegro e triste; in casa l’animale domestico è la Damigella di Numidia, una gru dagli occhi rossi e dal lungo collo nero, e il bimbo si gode lo spettacolo della sua vita come fosse un film o una favola, o lo stupefacente esercizio di un prestigiatore. In questo romanzo, che si può leggere in una notte, si fa presto a capire però che qualcosa non torna, perché, ai capitoli in cui il bimbo racconta con stupore e ironia la propria famiglia e certe sue vicende assurde si alternano stralci di diario di Georges, padre del figlio narratore, che scrive della moglie (che lui chiama ogni giorno con un nome diverso, e solo il 15 febbraio col suo vero nome, Georgette), affetta da disturbo bipolare e schizofrenia, e di come lui “stia al gioco”, assecondandola in ogni impresa, in nome di un amore senza tempo.

Una realtà che si chiama follia

Sono pagine, quelle di Bourdeaut, tipicamente francesi (chi, senza però azzardare paragoni, ha individuato in Romain Gary un modello più o meno chiaro non è andato troppo lontano…), che insegnano la libertà e l’evasione, che rifuggono la tristezza, che amano la fantasia, ma che infine non impediscono di dovere fare i conti con un filo tenue di malinconia e, soprattutto, con la realtà. Anche se questa realtà, questa normalità, si chiama follia. L’antitesi su cui si regge Aspettando Bojangels è un equilibrio di allegria perenne e sguardi anticonformisti che si contrappone a demoni interiori e malattie, il racconto del figlio e quello del padre cioè. Da una parte la musica a tutto volume e la spensieratezza (anzi il non prendersi sul serio, incarnato dallo Sconcio, amico di Georges), dall’altra le responsabilità, le crepe e i dolori dell’età adulta. Il dosaggio è quello dei libri migliori, il risultato disarma, come certe menzogne che i personaggi affastellano, alcune verranno a galla, per sfuggire ai giudizi e ai pregiudizi del mondo.

 

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