“Adamo risorto” è il capolavoro dello scrittore israeliano scomparso da qualche anno: un romanzo potente, originale e provocatorio che narra di un istituto di riabilitazione per sopravvissuti alla Shoah e di un suo ospite, salvo nel lager ma in cerca di una redenzione…
Outsider, scomodo, anticonformista, provocatorio. Anche per questo da non dimenticare, a cinque anni dalla morte. Yoram Kaniuk, fra i principali scrittori israeliani (e quindi, automaticamente, del mondo) del secolo passato e di quello in corso, non ha smesso di parlare alla sua maniera, cioè con i libri, quasi fino alla fine, con due titoli fra i suoi più importanti scritti negli ultimi anni, ovvero 1948 e Sazio di giorni, editi in Italia da Giuntina.
Un humour nero che spiazza
La stessa casa editrice fiorentina riporta in libreria Adamo risorto (399 pagine, 20 euro), probabilmente il titolo più noto di Kaniuk (da cui è stato tratto anche un film, piuttosto riuscito), fra i primi pubblicati, drammaticamente potente e originale, già sintesi del suo mondo letterario “irregolare”, tra realismo estremo e resa immaginifica, e della sua personalità, dolce e irritante, tenera e graffiante. Adamo risorto era stato pubblicato originariamente alla fine degli anni Sessanta e proposto in Italia, nella stessa traduzione di Elena Loewenthal di quest’ultima edizione, solo a metà anni Novanta dalla casa editrice Theoria, prima di finire nel catalogo Einaudi nel 2001 e lì languire e immalinconirsi. Adesso torna con Giuntina, torna con il suo carico di humour nero, e spiazzando non poco anche il lettore più avvertito, come un po’ tutta l’opera dello scrittore di Tel Aviv, autore di romanzi eclettici e fuori da canoni e mode.
Due esperienze fortissime
Il primo capolavoro non poteva che essere figlio del vissuto di Kaniuk, di una vita trascorsa in larga parte in Israele, tranne una parentesi di alcuni anni negli Usa (dove divenne amico di Charlie Parker e conobbe Miranda, che sarebbe diventata sua moglie). Era sionista, ma non filogovernativo, si sentiva ebreo, ma non ortodosso e nemmeno religioso, anzi proprio ateo (sulla carta d’identità aveva ottenuto, dopo una causa, di poter scrivere “senza religione”). E in gioventù almeno due esperienze fortissime l’avevano segnato: la guerra d’Indipendenza da soldato improvvisato, combattuta a diciassette anni, guerra in cui era stato ferito, e la scelta di lavorare sulle navi che portavano in Israele, da tutti i porti d’Europa, i sopravvissuti della Shoah.
Riabilitazione alla vita
Prima di entrare nei meccanismi di Adamo risorto chiunque ha bisogno di un po’ di rodaggio. C’è un background culturale che permea molte delle pagine e rimanda all’ebraismo e al Vecchio Testamento. Ci sono descrizioni minuziose. E c’è l’idea di un senso di colpa invincibile, quello che vive il protagonista Adam Stein e che aleggia su tutte le pagine. Stein si trova ad Arad, nel deserto del Neghev, ospite di un avveniristico istituto di riabilitazione alla vita per sopravvissuti alla Shoah, una struttura voluta da una ricca americana. Lentamente si intuisce e si ricostruisce il passato di quest’uomo (in mezzo ad altri superstiti, che sembrano suoi alter ego), che dialoga con un cane, e che (ultima possibilità di un ritorno alla normalità) con un bambino convinto di essere un cane finirà per fare i conti, per provare a redimersi degli orrori di cui è stato complice o protagonista in prima persona.
Dannazione di un pagliaccio e cane
Ebreo tedesco, pagliaccio e prestigiatore di una certa fama prima della seconda guerra mondiale, ad Adam Stein viene risparmiata la morte nel lager, purché accompagni, alla sua maniera, gli inconsapevoli condannati a morte negli ultimi istanti delle loro vite, distraendoli e facendoli ridere. E purché si metta ad abbaiare e a scodinzolare, stia a quattro zampe e mangi da una ciotola, come un cane: così desidera il comandante nazista, Klein, che ha in pugno la sua vita, che gliela salva, condannandolo però alla morte della sua dignità, a una dannazione interiore. L’inestinguibile intreccio di tragico e comico, la deriva di allucinazioni, paura e coraggio, la ricerca nel deserto di un Dio che non c’è danno conto di quello che si agita nel cuore di Adam Stein e probabilmente in quello di ogni sopravvissuto. Quando, temerario, questo volume apparve nelle librerie di Israele, fu accolto malissimo e preso di mira dalla critica di qualsiasi colore: Israele era uno stato giovane, in costruzione, in ascesa e la società israeliana preferiva negare e cancellare l’orrore dei forni crematori e delle camere a gas. Anni dopo Kaniuk stesso dirà che solo “i sopravvissuti capirono davvero il romanzo”. Oggi sapremo esserne all’altezza?