“Il venditore di metafore” è una delle prove migliori dello scrittore sardo, una specie di manifesto personale attraverso un alter ego, un contacontos di fine Ottocento, che gira piazze e sagrati e infaticabilmente racconta di una Sardegna ancestrale
Mataforu, al secolo Agapitu Vasoleddu da Thilipirches, racconta storie e vite come chi l’ha creato, Salvatore Niffoi. Se la produzione dello scrittore sardo è fatta di alti e bassi, la sua ultima opera è certamente un… alto. Niffoi è uno scrittore che divide, considerato un classico e un esempio da taluni, liquidato – a torto per chi scrive – come kitsch da altri. Questi ultimi corrano a leggere Il venditore di metafore (188 pagine, 18 euro), pubblicato da Giunti (sarebbe bello chiedere a Niffoi della sua rottura con Calasso, a distanza di qualche anno da un’intervista in cui diceva che Adelphi avrebbe pubblicato tutti i suoi libri, e della sua brevissima parentesi con Feltrinelli…), forse il suo ultimo libro, almeno se si desse retta a una sua intervista di qualche tempo fa.
Fantastico e grottesco, una lingua non standard
Matoforu – la cui nascita è avvolta nel mistero, il cui destino è quello di essere uno di quelli scampati alla Grande Carestia del 1891 – fa il contacontos nelle piazze o nei sagrati dei paesi (“Storie per grandi e piccini, mille storie in una sola, tutto il mondo in punta di parola”), dove lo accompagna un cane fedele, da dove capita che i carabinieri lo facciano sloggiare (lo considerano un pericoloso agitatore di popolo), perché disturba la quiete pubblica. Lui, ispirato da una voce (forse figlio di un sacerdote e di una domestica di Dio), infaticabile, ramingo, gira col suo carro, si fa il segno della croce e narra, fra fantastico e grottesco, con una lingua (quella di Niffoi) quanto mai lontana dalla lingua standard di libri di oggi molto cesellati e confezionati, sembra quasi tutti alla stessa fonte.
Un omaggio al narrare
La Sardegna non perde quell’aura magica e ancestrale delle sue pagine migliori e s’intreccia a microracconti poetici e suggestivi, fra montagne, strade e paesi, con protagonisti uomini (tutti sopra le righe, il contadino gobbo divenuto pastore, un becchino, il nano addolorato di un circo equestre) ma anche animali: storie che incantano ogni volta l’uditorio, dopo una diffidenza iniziale. La sua vicenda, quella di Mataforu, cioè il libro che terrà in mano il lettore de Il venditore di metafore, lo scrive Mitruddu, dopo un invito-invocazione di Mannai Longhitta: “Mitre’ […] Ricordati che un paese che non legge storie è un paese che non ride, un paese cieco, morto!“. Niffoi ha scritto un omaggio eterno alla catarsi del narrare, una specie di manifesto personale, un corpo a corpo con i personaggi di una vita, in bilico fra la vita e la morte.