“La guerra dei Murazzi” segna il ritorno alla narrativa di Enrico Remmert: quattro narrazioni – legate da una lingua precisa e lavorata – e altrettante ambientazioni apparentemente diverse e lontane riconducono a un’analisi profonda dell’animo umano e dell’aggressività
A Torino li chiamano “I muri”: sono le sponde del Po, o meglio i locali che in questo luogo così particolare si succedevano, uno dopo l’altro, una volta preso il posto delle vecchie rimesse per imbarcazioni. Fino al 2012, anno in cui sono stati chiusi. Ma ai Murazzi nei primi anni Novanta si concentrava la movida cittadina: qui veniva attirata in sciami di migliaia di persone nel corso delle lunghe notti sabaude, che si trascinavano dietro il divertimento, lo sballo, il fumo e l’alcol, ma anche il sapore ferroso e amaro di storie di violenza e immigrazione. Quasi una guerra, La guerra dei murazzi (208 pagine, 16,50 euro), sotterranea e per alcuni invisibile, insabbiata. A raccontarla (con un volume pubblicato da Marsilio) è Enrico Remmert in un nuovo libro che, a dispetto dell’ultimo romanzo, Strade bianche, datato 2010, è una raccolta di racconti. Quattro sono le narrazioni che lo compongono, diversissime tra loro, sia per quanto riguarda il respiro, la lunghezza, sia per lo spettro di temi e snodi affrontati.
Torino, e non solo
La pagina torinese, così intensa da tornare nel titolo del libro, apre la raccolta. A parlare è Manu, che un po’ ricorda la Manu di Strade bianche, in questa veste di studente e barista in un locale dei Murazzi. Sarà lei a innamorarsi di Florian, albanese giunto in Italia con quel famoso primo sbarco del 1991, rimasto immortalato nella memoria condivisa del Paese. Sul tema dell’immigrazione ruota l’intero racconto, che insieme ricostruisce la magia vibrante di un periodo e di una situazione segnante per la città – la movida dei Murazzi – e passa attraverso le problematiche mai direttamente affrontate dell’immigrazione, delle bande, della tragica violenza dagli esiti spietati. L’immagine è volutamente forte, quella di una guerra, combattuta tra i Novanta e i Duemila, prima che i Murazzi chiudessero segnando la fine di un’epoca, per i molti che l’hanno vissuta, e il definitivo inabissarsi delle storie di ombre.
Da Venezia a Cuba
Ma le ombre non sono solo quelle torinesi, e nei racconti di Remmert si aggirano tra i canali veneziani, dove vedono per esempio protagonista un bizzarro hair stylist giapponese (Otto progetti per la costruzione di una nuvola), eredità del periodo in cui l’autore lavorava con le lacche per capelli, rielaborata in un racconto rapidissimo, dalle immagini folgoranti. E poi arrivano a Cuba, in un racconto lungo, quasi un romanzo breve come quello che apre il libro, Havana 3 a.m, critica trasposizione letteraria sulla rivoluzione e il castrismo attraverso una delle sue pagine più ambigue, quella della rivolta dei balseros, nella quale si trovano coinvolti loro malgrado i protagonisti. Approdano infine a una storia isolata nei luoghi ma dal risvolto universale, che ha a che fare con la violenza animale e quella umana, e si svolge in un allevamento di cani, tra personaggi ombreggiati e una banda criminale.
Anime inquiete e aggressività
Legittima la domanda sul legante tra i quattro racconti che, a ben guardare, sembrano diversissimi tra di loro. Eppure, finita la lettura, tornando indietro e ripensandoli, sembrano entrare in connessione grazie a un perno comune, quello dell’identità, il cui confronto con il mondo è offerto spesso dalla violenza, e dal male. Basti pensare a Baal, alla sua sconvolgente piega simbolica, ma anche all’epilogo de La guerra dei Murazzi, che porta un tema caldo degli anni Novanta all’attualità, interrogandosi sulle possibilità e modalità di integrazione tra immigrati. In questi quattro racconti si agitano anime inquiete, esistenze colte nella piega non scritta che distanzia l’agire dal fermarsi a osservare, pensare. Storie circoscritte – la Torino dei Murazzi, un singolo episodio della storia cubana, un parrucchiere e la frizione tra la violenza di un cane e quella umana – ma aperte a uno studio più fondo dell’animo, di quell’aggressività che sempre sembra scuoterlo, agitarlo.
Dal mito alla narrazione
Altro legante è infine la lingua, limpida, pulita ed eccezionalmente precisa e lavorata nelle parole e nei pensieri dei protagonisti. I racconti di Remmert hanno l’indiscusso pregio di estrapolare singoli e piccoli episodi dal flusso sporco del reale e, impastandoli con la narrativa, restituirne quadri che nella loro compostezza attivano dettagli quotidiani e realistici, senza perdere mai di vista la struttura portante, la sapienza della scrittura, e di conseguenza l’universalità di storie particolari. Non siamo stati tutti a Torino nell’età d’oro dei Murazzi, e nemmeno a Cuba durante la rivolta dei balseros. Ne conosciamo forse l’eco della mitologia, in viaggio di bocca in bocca, di memoria in evocazione nostalgica. Eppure in questi vividi racconti entriamo in entrambi i mondi, percepiamo le atmosfere, le vibrazioni, assistiamo alla caduta del velo e possiamo accedere alla realtà complessa e sfaccettata che la mitologia non conservava. Sono mondi vivi, equivoci forse, ma per questo pulsanti, capaci di agguantare l’attenzione del lettore che vi scopre una ricchezza profonda, i sensi desti, l’occhio che scalpita per procedere, andare avanti e scoprire altre pagine, altra appagante materia narrativa con cui tornare a osservare il mondo.