“Perturbamento” è forse il capolavoro dello scrittore austriaco. Non un libro natalizio o da spiaggia. I personaggi sono automi come nel miglior teatro dell’assurdo, la parte descrittiva appare come l’estensione dei loro sordidi inquietanti paesaggi interiori. La scrittura è algida, spietata e fluviale come in una seduta psicanalitica
Certo che ci vuole del coraggio a terminare un romanzo o comunque la si voglia definire un’opera del genere a continuo rischio implosione, chiedendo che vengano portati dei giornali. Ma forse è proprio lì tutto il senso di questo angosciante scritto, un negare sé stesso, le sue stesse evidenze e supposte verità, per negative che siano (poco prima, nella furia dei suoi monologhi nichilisti, “Il principe” aveva negato qualsiasi validità alla stampa).
Se luce del buio non è un ossimoro
Leggendo ogni libro di Thomas Bernhard, e Perturbamento (239 pagine, 12 euro), pubblicato da Adelphi nel 1981, ne è la prova più dirompente e forse il suo capolavoro, sembra di scendere in dei meandri oscuri e sconosciuti, eppure affascinanti e attrattivi, un labirinto dove a poco a poco le figure e i contorni si stagliano dal nulla mano a mano che ci abituiamo alla luce del buio. Luce del buio in Bernhard non è un ossimoro. È una luce rarefatta, fioca, una costante penombra che pure illumina e consola con i suoi raggi di bellezza in un vorticoso pozzo senza fondo, quello dell’arte. Lo spunto narrativo sono le visite del medico, il co-protagonista e co-narratore (insieme al principe Saurau il cui delirio-monologo prende quasi 2/3 di tutta l’opera) che con il figlio si reca nelle case della varia umanità afflitta e dolente, pazza e desolata della Stiria e delle vallate della bassa Austria in “un paesaggio che tollera solo un minimo vitale”. Il rapporto padre-figlio, la sua stessa negazione nelle varie accezioni e triangolazioni (padre-principe-figlio, medico-padre-figlio, principe e suo padre defunto), vogliono esprimere questo vuoto cosmico della creazione e “l’ultimo spettacolo” che è proprio il romanzo, poco prima della fine di quel cosiddetto mondo. Tutto è incerto: padri; figli; verità; negazioni; menzogne, con una resa e “messa in scena” tutta teatrale e ironica: “mio figlio è fatto di cartapesta, i pensieri sono soltanto fondali che egli cala dalla parte superiore del palcoscenico del mondo, (dell’universo!) e il suo cervello non è altro che un moderno e complicatissimo impianto di illuminazione dal quale si vedono continuamente gli effetti su qui fondali”.
Forse un Pessoa in lingua tedesca
Solo apparentemente espressione di un certo canone novecentesco sulla fine della letteratura, sullo scacco esistenziale, sul pessimismo cosmico del dire e del dirsi, sul post-nichilismo, Perturbamento e tutta l’opera di Bernhard in genere ricorda un altro grande gigante e “umorista” del secolo scorso: Fernando Pessoa, le sue inquietudini e i suoi labirinti. Bernhard: forse un Pessoa in lingua tedesca. I suoi personaggi sono comici e tragici allo stesso tempo come lo sono gli eteronimi del portoghese. C’è in Bernhard il genio di un grande scrittore che con l’apertura della sua quinta teatrale, non a caso è stato un grande autore di teatro, ci mostra il sublime e l’orrido del nostro mondo e dei fantasmi che lo abitano, soprattutto quelli delle menti umane che contengono a loro volta quel mondo e ne sono la giustificazione.
Una specie di zibaldone psicologico
L’utilissimo saggio di Eugenio Bernardi aiuta a evidenziare questa fondamentale caratteristica di tutta l’opera di Bernhard. Proprio in Perturbamento teatrale è la coazione a ripetere maniacale e ossessiva in gesti e parole dei personaggi, automi come nel miglior teatro dell’assurdo, marionette, esseri repellenti, sadici, torturatori e torturati nei recessi delle loro menti abiette, tutti potenziali suicidi. Una sorta di manifesto del nichilismo con la parte descrittiva che appare come l’estensione dei sordidi inquietanti paesaggi interiori dei personaggi, nella altrimenti “democratica” o demagogica, idillica e pacificata campagna austriaca. La scrittura è granulosa, aspra e algida, spietata e fluviale come in una seduta psicanalitica. Il sogno del figlio del principe è l’asse strutturale portante del romanzo, principe che è a sua volta la figura centrale, il visionario, il folle-saggio, troppo saggio. Forse Perturbamento andrebbe letto tutto d’un fiato, con il delirio che è intrinseco alle associazioni di idee, con le illuminazioni e sensazioni tipiche dell’ontologia negativa, limpide scaglie di saggezza che a una continua rilettura affiorano, come in una specie di zibaldone psicologico, sensazioni che tutti noi dovremmo ammettere nei nostri più intimi recessi di aver provato almeno una volta.
Niente facili rassicurazioni
Chi vuole il niente vuole il tutto in realtà. Bernhard da vero mago, funambolo, fine umorista, artigiano o buffone della parola, fedele solo a sé stesso e alla propria arte, con la quale nasconde tramite la sua più profonda ironia, il disprezzo per l’esistente (per il mondo borghese si sarebbe detto una volta), mostra in questa ontologia negativa la sua fede e devozione alla letteratura e alle sue inesauste possibilità. Non è certo un libro natalizio o da portarsi in spiaggia. Non è un libro per tutti gli stomaci o menti deboli (non intendendo con questo folli), ma tanto quelle cercano solo facili rassicurazioni e leggono altro.