“La ragazza con la Leica” segna il ritorno al romanzo di Helena Janeczek. Non è una biografia della fotoreporter morta nella Guerra civile spagnola e che è all’origine del mito di Robert Capa, ma il racconto tra immaginazione e documentazione di uno spirito libero e icona dimenticata e di un tempo pericolosamente simile all’oggi
Ho masticato per anni il boccone amaro di non trovare in libreria un nuovo titolo di Helena Janeczek. Mi rendevo conto che questa fantastica scrittrice – anche traduttrice e consulente editoriale – doveva pur campare e fare qualcosa di più remunerativo che pubblicare libri. Però non era una cosa che accettavo fino in fondo. Quando poi è saltato fuori che l’autrice de Le rondini di Montecassino – che considero una delle letture imprescindibili degli ultimi anni – aveva scritto un nuovo romanzo, ho fatto fatica a leggerlo subito. L’ho tenuto in un angolo, a lungo, per mesi, prima di trovare il coraggio di abbracciarlo e, lo sapevo, di separarmene in fretta, dopo una lettura vorace e in apnea, che però non si dimentica. Il suo La ragazza con la Leica (333 pagine, 18 euro) racconta l’esistenza breve di una fotoreporter, morta durante la Guerra civile in Spagna, senza la quale, probabilmente, il mondo non avrebbe conosciuto Robert Capa. La sua eredità umana e intellettuale è comunque superiore al fatto di averci “lasciato” Capa.
Antifascismo quotidiano
Gerda Taro, questa il nome della fotoreporter (in realtà si chiamava Gerta Phorylle), è emblema del coraggio e dell’audacia, di un antifascismo concreto e vissuto nel quotidiano. E, in vita, non è mai stata coprotagonista, ma sempre in prima fila: figlia di ebrei polacchi, minuta, spregiudicata, fa volantinaggio antinazista a Lipsia, fugge dalla Germania stretta nella morsa della disoccupazione e alla vigilia dell’ascesa dei nazisti, e diventa esule a Parigi, mantenendo sempre un carattere di acciaio. Janeczek mette al servizio dl racconto di Gerda immaginazione e scrupolosa documentazione. Lei sprona Capa, gli inventa quello pseudonimo americaneggiante, collabora con lui e insieme firmano immagini, di cui non è mai stata accertata la vera paternità (se fossero cioè di lui o di lei…).
Seduttrice o rivoluzionaria? Di sicuro sfuggente
Il suo ritratto, nello svolgersi del romanzo, è figlio dei ricordi di uomini che l’hanno amata, e di Ruth Cerf, amica di infanzia e di gioventù, coinquilina a Parigi. La voglia di vivere, il desiderio di libertà, anche in mezzo alle tempeste del primo Novecento europeo, sono le prime qualità di Gerda che il lettore può intravedere e amare. Le prime a essere evaporate e ad essere inghiottite nella fama quasi ventennale che Capa si costruirà prima della morte in Vietnam. Seduttrice? Rivoluzionaria? Nemmeno questo romanzo scioglie il dubbio e sceglie una definizione univoca che possa inquadrare il personaggio sfuggente di Gerda Taro, che vive momenti e personaggi cruciali della storia e dell’arte del secolo scorso, da dona libera e insofferente a qualsiasi gabbia. La passione e la militanza, ma col sorriso in viso, gli entusiasmi e le fughe rocambolesche sono la cifra distintiva della fotografa uccisa da un carro armato, mentre era al fianco delle milizie antifasciste in Spagna. Là dove doveva essere Capa e non c’era…
Quel passato come l’oggi
Naturalmente in questa narrazione di Janeczek tutt’altro che convenzionale (con ricordi che s’accavallano e vanno avanti e indietro, non è certo una biografia, ammesso che lo sia, con andamento cronologico) non è difficile intravedere certe crisi del presente, economiche e sociali, l’incalzare della disoccupazione, un senso diffuso di terrore, gli abissi dei nazionalismi. A differenza dell’analogo periodo del secolo scorso, però, non si scorgono così tante figure paragonabili a Gerda Taro. C’è in giro qualcuno con la sua onestà intellettuale, con la sua sete di libertà, con la sua intraprendenza e indipendenza, con il suo incanto e la vocazione all’eccellenza?