“L’alcol e la nostalgia” di Mathias Enard è un pretesto letterario per fare i conti con l’addio della giovinezza, con miti e fantasmi della Grande Madre Russia e con due secoli, il XIX e il XX
Non può fare a meno di guardare verso Oriente, il francese Mathias Enard, è una propensione innata, il respiro che gli serve a far muovere i polmoni e permette al suo cuore di pompare sangue, ai suoi polpastrelli di battere sulla tastiera del computer. Il suo Michelangelo di Parlami di battaglie, di re e di elefanti sbarca a Costantinopoli, il suo musicologo malato Franz Ritter di Bussola ripercorre i viaggi con cui si è spinto fino in Siria e Iran e, adesso, il suo omonimo Mathias de L’alcol e la nostalgia (113 pagine, 12 euro) piomba in Russia dopo aver ricevuto una telefonata notturna, che gli riporta alla mente la sua vita negli anni Novanta. Come il precedente Bussola, che aveva vinto il Goncourt, anche questo racconto lungo (in origine una fiction radiofonica andata in onda sette anni fa) è pubblicato dalle edizioni e/o ed è tradotto da Yasmina Melaouah.
Un triangolo amoroso
Si tratta di un libro che trasuda suggestioni e letture russe, meno estremista e sperimentale, nello stile, rispetto alle abituali corde di Enard, e che vive principalmente di un viaggio in treno dalla Russia alla Siberia, un viaggio che la voce narrrante, lo scrittore francese Mathias, compie con il corpo senza vita dell’amico Wladimir, amico e rivale per il cuore della magnetica e sensuale Jeanne. Mathias ha il compito di seppellire degnamente Wladimir nel villaggio in cui è nato e trascorre il tempo del viaggio a ricordare le tappe del triangolo amoroso con Wladimir e Jeanne (rimasta a Mosca). Eccessi, tormenti e bevute di «un’amicizia feroce di amore sotto mentite spoglia», sotto lo stesso tetto per dodici mesi, sono il filo conduttore di un addio alla giovinezza, ma non solo. C’è di più.
Spiegare il tempo da un abisso
Le droghe e la vodka, protagoniste del complesso rapporto sentimentale fra i tre, non hanno infatti annebbiato la memoria di Mathias, che considera i libri «ben più pericolosi delle armi, poiché avevano scavato in me desideri impossibili da realizzare» e si lascia andare per migliaia di chilometri a logorroici monologhi interiori. Sfilano una serie di “fantasmi” della Grande Madre Russia, fra gli altri Cechov, Gogol, Trockij, Achmatova, Puskin, Aksonov e Mandel’stam, miti con cui confrontarsi. La storia di Enard, che si dipana sul Bajkal Express lungo i binari della Transiberiana, fa i conti anche col diciannovesimo e col ventesimo secolo, con il post-Urss, con la Russia, che è più che altro alcol e nostalgia, con tutto quello che ci ha condotto al presente, non solo a Oriente: è tutt’altro che privata o intimista (pur raccontando la discesa in un abisso per Mathias), pur non avendo un taglio prettamente politico o sociale, e con uno sguardo sbieco, allucinato.