“I rifugiati” di Viet Thanh Nguyen è una raccolta di racconti meno sperimentali e crudi del suo romanzo “Il simpatizzante”: storie di migranti sradicati e frastornati, ma non solo, che fanno i conti con la propria identità e con la perdita, storie minime ma potentissime sul mal di vivere, scritte in uno stile poetico ma essenziale
Sono anime divise, spezzate frustrate, a pezzi, in crisi d’identità, forse anche rifiutate dal mondo che hanno scelto o in cui sono stati scaraventati, che non si sentono a casa mai e in nessun luogo, ma nonostante tutto sono anime vive, vivissime, quelle che compongono un poetico catalogo ne I rifugiati (215 pagine, 16,50 euro), secondo libro di Viet Thanh Nguyen, dopo il botto del suo romanzo d’esordio, Il simpatizzante, con cui si era aggiudicato il premio Pulitzer per la narrativa.
I conti col sogno americano
Come il suo debutto anche questa raccolta di racconti è edita da Neri Pozza, che la presenta nella traduzione particolarmente efficace di Luca Briasco. Sono pagine – meno sperimentali di quelle del romanzo, meno crude ma altrettanto devastanti – popolate principalmente, ma non solo, da asiatici riparati in California, parabola che appartiene anche all’autore (arrivato a quattro anni negli Usa, vissuto inizialmente in un campo per profughi vietnamiti), uomini e donne che fanno i conti con il sogno americano, quasi mai quello che si aspettavano, e che non sempre riescono a riconciliarsi con il proprio passato e, soprattutto, il proprio presente.
Una nuova vita e i suoi dolori
Identità umana, perdita, amore, spaesamento: nulla di tutto questo sfugge allo scrittore de I rifugiati. La scrittura di Nguyen è essenziale, ma allo stesso tempo poetica: rende storie minime e quotidiane, il male di vivere di gente sradicata e frastornata, i loro dolori (principalmente dell’anima), che persistono nonostante la nuova vita, in cui lottano per ricominciare. Come accade alla protagonista del racconto di apertura Donne dagli occhi neri, una ghost writer (non esattamente J. R. Moehringer…) che fa i conti col fantasma del fratello maggiore, morto in mare durante la traversata per raggiungere gli Stati Uniti, morto come probabilmente è anche lei, nonostante sia viva. O come accade a James Carver, nero dell’Alabama, protagonista del racconto Gli americani, alle prese con sogni agitati e confusi, quando va in visita in Vietnam, con la moglie Michiko, a trovare la figlia Claire che insegna lì da due anni; gli rinfaccia Claire il suo passato di pilota di bombardieri proprio sul Vietnam e gli spiega che lì sta bene, convinta com’è di fare qualcosa di buono e rimediare in parte agli errori che ha commesso lui. O come accade ne L’altro uomo a Liem, rifugiato a metà anni Settanta a San Francisco, in un’America che i genitori considerano anche “più peccaminosa di Saigon”, dove è ospite di una coppia di omosessuali; prenderà coscienza della propria sessualità: quando uno dei due uomini che lo ospita, Parrish, va via qualche tempo per un viaggio di lavoro, Liem non impiega molto a dire all’altro, Marcus, con il linguaggio del corpo quello che gli cova dentro, ma ancora non sa esprimere a parole…
Una luce nell’America di Trump
Sono solo tre esempi di racconti magnifici, quanto gli altri presenti nella raccolta: storie di conflitti interni e personali, prima ancora delle scorie impigliate dentro l’anima, per il proprio vissuto e per le tragedie lasciate alle spalle o ancora presenti, fra trapianti di fegato, sonniferi, o mente e memoria che cedono il passo all’Alzheimer (accade nel racconto Se solo tu mi volessi). Sapere che un’opera del genere ha avuto un’eco importante negli Usa dominati da paure e bugie, fragorosamente coltivate dall’amministrazione Trump, regala sollievo. Con intellettuali del rango di Viet Thanh Nguyen stare in guardia non è utopia e la crescita smisurata di certo pensiero unico è ragionevolmente scongiurata.
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