La riscoperta di Petyx, la brama di vivere di Liillà

Torna in libreria uno dei titoli più rappresentativi di Angelo Petyx, “Le notti insonni di Liillà”, pubblicato da Il Palindromo trent’anni dopo la prima volta. Uno spaccato della Sicilia più povera e profonda, di un tipico microcosmo paesano, attraverso gli occhi di uno zolfataro in pensione, affascinato dalla natura e dalla cultura

Dormire è un po’ morire. E di dormire, cioè di morire, non ha nessuna voglia Liillà, zolfataro in pensione per problemi di salute, protagonista del romanzo Le notti insonni di Liillà (260 pagine, 13 euro) di Angelo Petyx. Veglia perché gli manca il respiro, ma soprattuto perché la morte non lo sorprenda. Petyx era uno scrittore vero, siciliano di Montedoro (Caltanissetta), partigiano, antifascista, inghiottito dal gorgo della grande editoria, conteso da Mondadori ed Einaudi degli anni Cinquanta, scivolato lentamente nell’oblio, schivo e disincantato, allontanatosi dal mondo letterario, dove forse non era mai entrato davvero. Continuò a scrivere e anche a pubblicare talvolta, per piccole case editrici del nord Italia, dove si era trasferito per amore, lasciando la Sicilia amata.

Un’arancia non raccolta

Qualche anno fa il critico e docente universitario Salvatore Ferlita aveva raccolto nel volume Le arance non raccolte le storie e un’antologia di autori siciliani dimenticati, ma un tempo pubblicati da editori prestigiosi, anche con il favore della critica più esigenti. Da Antonio Russello a Mino Blunda, da Livia De Stefani a Sebastiano Addamo (sebbene questi due negli ultimi anni siano stati riscoperti…), da Romualdo Romano a Paolo Giudici, da Giuseppe Lo Presti a Fortunato Pasqualino, fino appunto ad Angelo Petyx. A dare una bella spolverata alla sua memoria e alla sua produzione è la casa palermitana Il Palindromo, che ha proprio Ferlita fra i suoi consiglieri più ascoltati. Vittorini lo aveva strappato a Calvino, cioè Mondadori aveva battuto la concorrenza di Einaudi per pubblicare La miniera occupata, il suo romanzo più noto a cui però Le notti insonni di Liillà non ha nulla da invidiare. Si tratta di un romanzo lungamente meditato dal suo autore, il cui nucleo originario è da rintracciare in un racconto risalente al 1960 e poi in una raccolta di storie brevi, pubblicata negli anni Settanta. La versione definitiva de Le notti insonni di Liillà risale al 1984 e adesso, dopo più di trent’anni, rivede la luce.

Pane, cipolla e sale

Sicilianissimo, ma non per questo angustamente locale, neorealista e minimalista di certo, ma in modo modernissimo. Petyx, classe 1912, delinea, senza dialettismi di maniera, un’Isola tutt’altro che folkloristica e solare: scrive del sottoproletariato, dei più poveri nella Sicilia più profonda, delle difficoltà quotidiane. Nel microcosmo paesano con le sue figure tipiche, fra inciurie (i nomignoli) e destini infimi, fra comari che rammendano e stendono panni e anziani in crocchio a parlare di tutto e niente, spicca Liillà ovvero Filì (Filippo), vedovo, ex zolfataro, costretto alla pensione per alcuni problemi ai polmoni. Autodidatta (più o meno come Petyx, e come Paolo, protagonista del suo romanzo La miniera occupata), legge libri e giornali, è affascinato dalla bellezza della natura selvaggia, riflette sulla vita e sulla fede, ha una brama di sapere che cozza con l’attesa della morte, con cui deve fare i conti per età e stato di salute, con il suo frugalissimo pasto quotidiano (pane, cipolla e sale), forse anche con l’utopia comunista.

 

 

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