“Origin”, l’ultimo romanzo dello statunitense non è letteratura, ma intrattenimento, come tutti i suoi libri. Stavolta però, oltre a trascinare il lettore fino alla fine, ricorre a personaggi reali e teorie non fantascientifiche per dare spessore e credibilità alla narrazione, invitando implicitamente ad approfondire certi temi, andando oltre le sue pagine
Che ci piaccia o no, Dan Brown è popolare, viene letto da milioni di persone in tutto il mondo, e porta soldi (molti soldi) all’industria dell’editoria che, è risaputo, non naviga nell’oro. I romanzi dello scrittore americano, li ho letti quasi tutti. Uno mi è piaciuto (Il codice Da Vinci), gli altri molto meno. L’ultimo – Origin (560 pagine, 25 euro) – l’ho appena finito.
Intrattenimento, non letteratura
Partiamo dal presupposto che Dan Brown fa intrattenimento, non letteratura. Non è Saramago e neppure Ishiguro. Insomma, non vincerà mai il Nobel. Quindi, le aspettative stilistiche, per quanto mi riguarda, sono ridotte al minimo già in partenza. Anche stavolta gli ingredienti del suo romanzo sono gli stessi: misteri, fughe, inseguimenti, codici, password, qualche sparatoria, il professor Langdon, un genio futuristico, la gnocca di turno, un killer spietato. Tutto sullo sfondo di città d’arte e location magnifiche, spesso descritte in maniera didascalica (stile guida turistica). “Memorabili” alcune citazioni, una nello specifico, in cui si tira in ballo addirittura la principessa Anna, la regina di Frozen, guarda caso il film di animazione che ha realizzato il maggior incasso della storia del cinema. Eppure… Pazientate ancora un po’.
Due domande esistenziali
Nel caso di Origin siamo in Spagna, tra Bilbao, Barcellona e Madrid. L’autore mette di fronte atei e credenti e sin dalle prime battute illude il lettore – attraverso il personaggio del genio futuristico – di dare risposta a due domande esistenziali, escatologiche, affascinanti e mistiche; due domande che prima o poi tutti ci poniamo e a cui nessuno sa rispondere: “Da dove veniamo? E dove stiamo andando?”. Per i credenti la risposta è unica: Dio (la Creazione e l’Aldilà). Per i non credenti, invece, la scienza non ha ancora trovato una risposta, ma è solo questione di tempo. Il tema non è originalissimo, ammettiamolo, e Dan Brown evita disquisizioni troppo complicate per rendere il suo romanzo commestibile a tutti. Dal punto di vista tecnico, la sua bravura, checché se ne dica, sta nel saper catturare il lettore sin dalle prime pagine e trascinarlo per i capelli fino alla fine. Perché una volta che cominci, pur sapendo con chi hai a che fare, vuoi sapere come va a finire. In questo Dan Brown è il numero uno.
Appigli scientifici
C’è una novità, però, rispetto ai precedenti romanzi: stavolta Dan Brown ricorre ad alcuni personaggi reali e teorie non fantascientifiche per dare spessore e credibilità alla sua narrazione. Il riferimento è a Richard Dawkins, Sam Harris e Jeremy England. Il primo è un noto biologo evoluzionista, autore di diversi saggi che hanno avuto una larghissima diffusione (L’orologiaio cieco e L’illusione di Dio su tutti). Il secondo è un neuroscienziato molto apprezzato nel suo campo che ha conosciuto la popolarità (soprattutto negli Usa, dove il dibattito tra evoluzionisti e creazionisti è tuttora accesissimo) con il volume La fine della fede. Il terzo è un giovane fisico del Mit di Boston che qualcuno ha ribattezzato “il nuovo Darwin” per una teoria, ancora in fase di sviluppo, che se dovesse trovare riscontri e supporti concreti in futuro, rischia davvero di rispondere in maniera quasi definitiva alle domande in questione. Insomma, come con Il codice Da Vinci, Dan Brown si prefigge di aprire un dibattito. Stavolta però, i suoi appigli sono estremamente seri e attuali, e invitano (almeno così è successo a me) ad approfondire la questione in maniera più… elevata, a non accontentarmi del romanzo. E allora ben venga Dan Brown. Meglio lui di tanti autori pretenziosi e pompati dalla critica (spesso ingiustificatamente), che talvolta leggiamo per saperne parlare, per esibire il nostro io colto, perché l’autore va di moda, perché ha il vinto il premio XY; salvo poi chiudere il libro insoddisfatti e dimenticare pure il titolo a distanza di qualche giorno. Volete che vi faccia un centinaio di esempi?